Dal diario di viaggio di Claudio Riva, whisky e dintorni
Da Kobe ci spostiamo ad Akashi dove ci viene offerta la possibilità di visitare la White Oak distillery. A testimonianza del fatto di trovarci di fronte ad una realtà diversa rispetto a quelle dei colossi giapponesi, veniamo accolti da Yuki Urabe, ultimo rappresentante della famiglia con affari nel sake, shochu e vino dal 1888. E più recentemente anche nel whisky. L’anno riportato sul portone d’ingresso della distilleria indica 1919, il che porterebbe l’asticella di inizio del whisky giapponese indietro di qualche anno (Yamazaki 1923), ma quello è l’anno in cui hanno ottenuto la licenza di distillazione. Per poter vedere il primo alambicco e la prima goccia di new make è stato necessario attendere sino al 1961.
La visita, decisamente la più affascinante fatta sinora in Giappone, inizia nella sake brewery e nel magnifico museo che raccoglie tutta la strumentazione in legno usata in passato per produrre sake. Gli stessi dipendenti, oggi una cinquantina in totale rispetto ai 300 di inizio secolo scorso, durante i mesi freddi producono sake (il riso viene raccolto ad ottobre e la produzione del sake tradizionalmente va da novembre ad inizio primavera) e durante i mesi caldi (e sono caldi davvero) si spostano in distilleria.
È affacciata sul mare e questo contrasta con il carattere di tutte le altre distillerie giapponesi che sono state costruite nell’entroterra vicino alle sorgenti di acqua (l’altra distilleria sul mare è Yoichi). Qui l’angel share sale abbondantemente sopra il 5% e il clima dell’oceano Pacifico sicuramente ne influenza la maturazione.
Bellissimi i magazzini in legno costruiti attorno alla distilleria di shochu. All’interno una presenza importante di botti ex-sherry. I whisky del core range vengono dichiarati 3 years old, possono contenere dei 6-7 anni. La botte più vecchia che hanno a magazzino è un 11 anni. Assaggiamo e ci portiamo via l’ultima bottiglia disponibile del 10 anni sherry butt 60% abv e un altro distillery only, un whisky affinato in sake cask con un naso decisamente atipico.
L’anno prossimo, avendo chiaro quanto scritto sopra, la White Oak compirà 100 anni. Grandissima l’ospitalità, non ci resta che ringraziare Yuki, numero uno, e ripartire verso nuove avventure.
PS. Il loro blended, il bottiglino bianco che non riporta la scritta single malt e che si trova anche in Europa è un vat del loro single malt con malto di BenRiach e grain di Loch Lomond. Scozia, chiaro? Ogni distilleria a cui abbiamo chiesto l’origine del whisky di grano per i loro blended non ha dato risposte vaghe lasciando aperta la porta (giapponese) di Suntory o Nikka, ma in modo molto corretto ne ha dichiarato la provenienza scozzese.
Whisky Club Italia #NippoTour2018
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Veloci appunti e qualche fotografia, importati da Facebook
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