Solid rock

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Il Nerd Corner di Anna

Solid Rock

 

Non tutte le fermentazioni del mondo, anzi, per la verità quasi nessuna, prescinde da piccoli o grandi residui di materia prima ora completamente sommersa, ora visibile, a seconda della natura, del momento e della durata della fermentazione.

Molto spesso è un fattore trascurato, questa presenza sospesa, ma ha un peso importante su quello che riusciremo a portare al di là del prato di asfodeli che è la distillazione: infatti non tutto si perde, si modifica, si annulla, molto resta e si concentra, ed impatterà irrimediabilmente il gusto e la texture del nostro spirito finale.

Partiamo da una fermentazione di puro succo di canna da zucchero: i mulini, ed ancora prima lo shredder o l’insieme di martelli e lame che preparano la canna a pezzi per essere spremuta dai mulini, pur in presenza di filtri abbastanza efficienti, lasciano in sospensione nel succo un grande quantità di pezzettini di bagasse che contengono o meno fibre interne (bianche) e buccia (verde, grigia, rossastra, gialla, con una quantità imprecisata di lieviti, cere, tannino, a seconda della varietà). Se la canna non è stata oggetto di ottima defoliazione e pulizia, nel fermentato possono finire facilmente anche pezzi di foglie, di radici, di terra: il taglio e la pulizia a mano sono per questo sempre il metodo migliore per poter avere una ottima base di partenza, anche se oggi il taglio a macchina è decisamente più diffuso, così come la raccolta attraverso canne-loader, grossi “ragni” che imbarcano, oltre alla canna, anche tante impurità sui rimorchi.

 

 

Tutto ciò che è materiale vegetale è in una certa misura impattante sul nostro spirito finale, indipendentemente dal tipo di distillazione: sicuramente, e a ragione, anche se molto dipende dal lavoro del distillatore (c.f. articolo già scritto su distillazione in colonne creole e alambicco) si è portati a pensare che una distillazione in colonna possa più facilmente collaborare alla presenza di note “verdi” e amare, che corrispondono, da un punto di vista chimico, alla presenza di aldeidi in grande quantità, di chetoni, di una parte “gritty” nella texture dello spirito, causata dalla presenza di tannino vegetale figlio di scorza e foglie, ma, siatene certi, nemmeno con una doppia distillazione queste caratteristiche saranno aggirabili. Essendo, anzi, reputate, se troppo presenti, “negative” in un rhum agricole di buona qualità, ma caratterizzanti in piccola quantità, va da sé che il lavoro da svolgere sarà quello di ottenere una canna il più possibile pulita ed un succo il più possibile limpido, cosa più facile se si lavora nel piccolo, meno facile se si tratta di grandi realtà. In fase di fermentazione, aiutati dalla CO2, sarà sempre possibile eliminare, anche se non del tutto, il materiale galleggiante prima che finisca in alambicco, dove, tra le altre cose, possono, in funzione della quantità, del flusso di vapore e dello strumento, innescarsi reazioni di Maillard, aggiungendo la nota “fumé” all’amaro. Non benissimo insomma, sono cose da sorvegliare, anche perché un rhum agricole è in prima battuta bianco, da bere e degustare senza intromissioni del legno, che sanciranno solo la tappa successiva della sua vita.

 

 

Nel mondo dei distillati di Agave, invece, non sempre le fibre scoperte della piña sono materiale da filtrare via in sede di fermentazione e distillazione, anzi, servono a comporre uno spirito di carattere: queste fibre contengono i fruttani, gli zuccheri fermentescibili dell’agave (catene di fruttosio), e sono esposte tramite cottura e frantumazione delle piñas, con l’aiuto dell’acqua. Il metodo di cottura, frantumazione ed esposizione, così come la fermentazione, dipendono dal tipo di spirito e dalla modernità dell’impianto, ma, à savoir, nel mondo del Mezcal artesanal e ancestral, dove non sono ad esempio ammessi forni differenti da hornos de pozo o mamposteria, e smembratori diversi dalla tahona (grande ruota in pietra), o dai martelli (e anche shredders per artesanal), le fibre di agave, raccolte post processing, sono utilizzate non solo nei campi o nelle successive cotture, ma anche nelle fermentazioni (più lunghe sono, più carattere avrà lo spirito, anche grazie alla strabiliante flora batterica in grado di svilupparsi sulle fibre), e, in seguito, nell’alambicco, soprattutto se si tratta dell’alambicco tradizionale in terracotta (“olla de barro”), insieme al liquido fermentato e sul primo e secondo sigillo della olla, sotto la “culebra” e sopra la “cuchara”: le olle, riscaldate a fuoco diretto, hanno bisogno della mano esperta di un distillatore, che abbia pieno controllo del calore e della reazione di Maillard che avviene nell’alambicco, che effettui i tagli in modo frequente e preciso, ad ogni fiotto di distillato, e che componga il blend finale. Le fibre di agave gli permetteranno di donare allo spirito il tono affumicato, juicy e fresco che un buon Mezcal Joven deve avere. Quasi nessun Tequila invece utilizza le fibre dell’agave durante la fermentazione e nell’alambicco, sia perché il mercato del Tequila è completamente diverso, sia perché gustativamente ci si attende una maggior linearità, per cui, le fermentazioni sono brevi e molto controllate: spesso le fibre vengono completamente esaurite degli zuccheri esposti tramite enzimi prima di essere scartate. Valle Siembra è un Tequila fabbricato ancora in modo tradizionale dove la fibra gioca il suo ruolo. Altre parti vegetali della piña, come le foglie e il cogollo, germoglio che costituisce il primo segno del quiote, ovvero della fioritura (e morte, con conseguente perdita di tutto lo zucchero) che viene tagliato dai produttori, sono generalmente scartate, perché ricche di cere oppure troppo “vegetali”, come spesso accade soprattutto nelle grandi produzioni, dove si cerca, per essere consistenti, di “centrare” una maturità media delle agavi, che oggi comprende l’inserimento di esemplari non del tutto maturi nel raccolto (ricordo che l’Agave Tequilana Weber giunge a maturità in 7-10 anni, ma il mercato è ovviamente più veloce e demanding). Detto ciò, lo stile segue sempre l’idea produttiva, anche dietro le grandi macchine del mondo Tequila, infatti Ocho qualche foglia la tiene, mentre le piña di Patron sono bianche come la neve, così come in alcuni casi un cogollo nel processo intero si tiene per avere qualche aroma di “cottura” e qualche complessità in più.

 

 

Oltre al mondo delle fibre vegetali, esiste anche il mondo dei grani, che ha un rapporto tutto particolare ma completamente diverso con la gestione dei solidi in sospensione nel fermentato, anche perché i grani non sono “a prescindere”, sono una parte importante del wash, ma questo ha tutta l’aria di dover diventare, inevitabilmente, un altro capitolo della nostra storia “sommersa”.

 

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