Situazione whisky in Giappone

Situazione whisky in Giappone

Dal diario di viaggio di Claudio Riva, whisky e dintorni


Situazione whisky in Giappone. Mi sono concentrato solo sul whisky giapponese, mi sono concesso un paio di americani e non più di una decina di scotch.

Gli whisky bar sono tanti, sono solitamente posizionati nel centro delle principali città. Rispetto all’America dell’anno scorso i whisky bar giapponesi hanno un numero inferiore di imbottigliamenti (difficile trovarsi in whisky bar con 2000 e più whisky in lista), ma la selezione è molto più ricercata, spesso sbalorditiva. La competenza di chi lavora dietro il banco è sempre adeguata, una volta chiarito che il whisky lo si vuole “neat” il servizio è impeccabile per temperatura, bicchiere ed acqua. I prezzi sempre giusti, se si opta per l’half shot si spende davvero poco, 15-25€ per ogni assaggio di roba importante e introvabile.

La disponibilità di whisky giapponese è critica, le scorte dei vecchi imbottigliamenti sono quasi ovunque esaurite, bisogna cercare nei bar non conosciutissimi o tra quelli che hanno appena aperto e messo in mescita la vecchia “collezione” del proprietario; basta chiedere e qualche dritta la si ottiene. Alla fine senza far troppa fatica ho totalizzato 158 assaggi di whisky giapponesi mai provati prima; di molti ne ignoravo l’esistenza. Di questi 102 distillati nel XX secolo, prima del boom, e tanti single cask del nuovo millennio rilasciati solo per il mercato locale e provenienti sia dai giganti che dalle nuove distillerie come Chichibu. Distillerie chiuse: 24 assaggi di Karuizawa (!), una decina di Hanyu single cask e un po’ di carte da gioco.

Tutto molto stimolante. Un “database” così ampio ti consente di capire che il vecchio whisky giapponese era sicuramente più complesso rispetto all’attuale, in modo molto più marcato rispetto allo scotch. Se pigliando a caso un po’ di scotch degli anni ’80 ci si può imbattere in eccellenze e in qualche schifezza, avendo i giapponesi sempre preteso qualità è più facile che quelli del passato siano migliori rispetto agli attuali nas (per dovere di cronaca allo Zoetrope la pensano esattamente all’apposto, dicono che il whisky giapponese è diventato buono solo negli ultimi 20 anni, ma io romanticamente resto della mia idea).

Il vatting con lo scotch è pratica diffusa e riconosciuta, diciamo che per i single malt è certa l’origine 100% giapponese, per i blended e per i pure malt lo scotch è quasi sempre presente, non è dato sapere in che percentuale.

La selezione di scotch nei bar giapponesi è imbarazzante, ci si può davvero trovare di tutto compresi molti vecchi single malt degli anni ’70 e ’80, e qui magari qualche soldino in più lo si deve spendere. Per il bourbon whiskey invece mi sarei aspettato qualcosa in più. Poi c’è lo spirit-bar specializzato in cognac, quello in calvados e quello in armagnac e grappa.

Impossibile acquistare bottiglie di whisky giapponese. Le distillerie stesse non hanno single malt in vendita e negli spirit store si trovano le stesse poche bottiglie (blended, pure malt, i nas di Nikka, Suntory praticamente assente) che si possono trovare a Parigi.

La guida di Davide su Angel’s Share dei whisky bar di Tokyo è ancora valida anche se molti degli imbottigliamenti giapponesi che ha assaggiato quattro anni fa sono oggi sold-out.

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