Resoconto giornata sugli alpeggi del Bitto (02/07/2011)

Resoconto giornata sugli alpeggi del Bitto (02/07/2011)

Fonte Laphroaig.it


Per una perfetta giornata estiva: sole, temperatura fresca di alta montagna, simpatici compagni di avventura, la natura, il migliore formaggio al mondo e qualche ottimo dram.
Con questi ingredienti il risultato è garantito!


Con il GluGlu2000 siamo andati in val Gerola per visitare alcuni storici alpeggi in cui ancora oggi viene prodotto in modo estremamente tradizionale il formaggio bitto.
L’occasione era quella di ritirare le forme di Bitto che avevamo acquistato nel 2008, ormai giunte a quasi 4 anni di maturazione.



La nostra guida, Paolo Ciapparelli, presidente dell’Associazione Produttori Valli Del Bitto e del Presidio Slow Food

Abbiamo pensato ad un qualcosa di diverso, non la classica degustazione di Bitto presso la casera di Gerola Alta, ma una visita direttamente agli alpeggi in alta valle.
Paolo Ciapparelli, responsabile dell’Associazione Produttori Valli del Bitto (www.formaggiobitto.com), ci ha guidati in una giornata rilassante e ricca di tante piacevoli scoperte.



Laveggiolo (circa 1400 metri slm), partenza del sentiero verso gli alpeggi dell’alta Val Gerola

Ovviamente con il GluGlu2000 nulla è “banale”.
Durante l’escursione sono state assaggiate alcune espressioni di Ardbeg, la giornata ha quindi preso il nome ‘UP TO THE BITTO’S VALLEY with ARDBEG’.
Solo dopo poche centinaia di metri, la prima fontanella ci dà lo spunto per la prima “tappa spirituale”, la degustazione di un Serendipity, il famoso blended di casa Ardbeg ottenuto per un errore in fase di imbottigliamento.
Quando si stava imbottigliando un vecchio Ardbeg, per un errore umano è stata unita una botte di Glen Moray … il prestigioso Single Malt di Ardbeg era ormai compromesso in modo irreparabile, ma un nuovo inatteso blended aveva preso vita.



Dopo poche centinaia di metri, la prima sosta


Assaggiamo un Serendipity


Alpeggio Valvedrano, il casaro prepara la ricotta

Dopo meno di un’ora giungiamo al primo alpeggio, quello di Valvedrano.
Sono circa le 11 e il Bitto è ormai già stato prodotto e messo nelle apposite forme.
Partendo dal siero rimasto dopo la produzione del bitto, il casaro sta provvedendo a fare la ricotta.
Nella classica caldaia di rame, con il solo aiuto del fuoco di legna (che crea un fumo incredibile) il siero viene riscaldato finché la ricotta si forma.
Abbiamo avuto la possibilità di assaggiarla “ancora calda” e con una “particolare ed inaspettata aggiunta”.

Questa particolare ricotta è chiamata Maschèrpa, è ottenuta dal siero rimasto dopo il Bitto (che è fatto con circa il 90% di latte di vacca ed il 10% di latte di capra), a cui viene aggiunto un ulteriore secchio di latte di capre appena munto che conferisce alla ricotta un sapore davvero unico.

Per la produzione del Bitto, il latte di vacca appena munto aggiunto a quello caprino (10-20%), ottenuto dalla razza orobica (razza autoctona a rischio di estinzione), è immerso nelle tradizionali caldaie in rame a forma di campana rovesciata, ove è riscaldato mediante fuoco a legna e portato a una temperatura di 35-37° C.
Si aggiunge in seguito il caglio di vitello; la cagliata viene poi rotta molto finemente e, nel giro di 2 ore, viene portata alla temperatura finale di 50-52°C.
Una volta estratta, la pasta viene posta in fascere di legno che conferiscono il caratteristico scalzo concavo.

La vita dell’alpeggio è completamente regolata dai ritmi della natura, le bestie (vacche e capre) si spostano alla ricerca di erba fresca.
Siccome la produzione del formaggio deve avvenire il più possibile vicino alla mungitura, tutta la “casera” si sposta insieme alle bestie.
Nei vari alpeggi sono presenti i Calecc, delle vere e proprie baite itineranti costruiti su piccoli muretti a secco grazie all’aiuto di un semplice telo protettivo.



Nell’alpeggio le bestie vivono serene all’aria aperta, si spostano e mangiano il meglio che la natura possa offrire



Una delle due forme di Bitto prodotte in mattinata partendo da oltre 200 litri di latte



Assaggiamo la ricotta appena prelevata dal fuoco, ancora molto calda…


…che qualcuno pensa di aromatizzare con una generosa quantità di Ardbeg…


Ricotta e Ardbeg, sembra che tutti abbiano apprezzato l’abbinamento…



La camminata prosegue verso l’alta valle, la nostra meta è il rifugio Trona Soliva (1907 metri slm)

Dopo due ore e trenta minuti siamo giunti alla nostra meta, il rifugio Trona Soliva (1907 metri slm), dove abbiamo pranzato e degustato gli Ardbeg gentilmente offerti da Mauro del GluGlu2000.



Uno dei tanti calecc che si incontrano durante il tragitto

Il rifugio si trova decisamente in alta montagna; da qui si domina tutta la Val Gerola e alcune dighe di centrali idroelettriche.
Da qui partono diverse escursioni e arrampicate, tra cui quella al Pizzo Tre Signori.

Dal sito leggiamo: “Il rifugio offre servizio di ristoro, bar e alloggio per famiglie e gruppi; con la possibilità di organizzare feste per ogni tipo di occasione in un ambiente unico e in un’atmosfera incantata”.
Per noi è stato organizzato un menu tradizionale con i pizzoccheri (completamente fatti in casa con ovviamente il bitto locale), il taroz (un pasticcio di patate, formaggio e fagiolini), salumi, formaggi ed alcune torte appena sfornate.

Il pranzo si è concluso con la degustazione di alcuni Ardbeg di imbottigliatori indipendenti, l’abbinamento dei torbati con il bitto è sempre vincente!



Il Trona Soliva (1907 metri slm), un bel rifugio in un’ottima location e con ottima cucina



La degustazione di Ardbeg, oltre al Serendipity anche 3 imbottigliamenti privati



Il rifugio ci accoglie con un generoso piatto di pizzocchieri fatti in casa



Paolo Ciapparelli con Mosè (a sinistra), riconosciuto come la memoria storica del Bitto tradizionale

Dal rifugio si possono vedere gli alpeggi di Trona Soliva e quello di Trona Vaga.
Nell’alpeggio di Trona Soliva abbiamo potuto vedere le capre Orobiche, la razza autoctona a rischio di estinzione che con il suo latte fornisce al Bitto Storico la particolare aromaticità e persistenza.

Abbiamo infine incontrato Mosè Manni, caricatore di Trona Soliva, e la sua famiglia.
Sono i produttori indubbiamente più legati ad una tradizione senza soluzioni di continuità.
Andare a Trona Soliva per chi ama e sostiene il Bitto storico con tutto quello che rappresenta è come fare un pellegrinaggio.

Siamo poi tornati verso Gerola Alta per l’apertura delle forme di Bitto 2007 da noi acquistate durante la nostra visita del 2008.



Un simpatico groviglio di corna delle capre orobiche, il cui latte è presente per circa il 10% nel formaggio bitto



Alcune forme di formaggio Bitto in lenta maturazione presso la casera del Associazione (Gerola Alta)



Il Bitto del GluGlu2000, ce la siamo divisa in 11


Cerimonia del taglio del Bitto, serve tanta esperienza

Il Bitto Storico è presidio Slow Food, dal sito leggiamo:


Il Bitto è, senza dubbio, uno dei simboli della produzione casearia lombarda: formaggio di grande tradizione e straordinaria attitudine all’invecchiamento, è legato in maniera profonda alle montagne da cui prende origine.
Il nucleo storico della sua produzione si trova nelle valli formate dal torrente da cui prende il nome: Gerola e Albaredo, in provincia di Sondrio.
Il formaggio che si produce negli alpeggi di queste valli, a un’altitudine che va dai 1400 ai 2000 metri, conserva caratteristiche speciali.
I caricatori, infatti, sono impegnati nel mantenimento di tutta una serie di pratiche tradizionali che esaltano la qualità del formaggio, oltre a svolgere un ruolo basilare nella conservazione dell’ambiente e della biodiversità alpina.
Innanzitutto, si pratica il pascolo turnato: nei tre mesi di alpeggio, la mandria è condotta attraverso un percorso a tappe, che va dalla stazione più bassa a quella più alta.
Lungo la via, i tradizionali calècc – millenarie costruzioni in pietra che proteggono la zona di caseificazione- fungono da baita di lavorazione itinerante, sempre a portata di mano, in modo che il latte non debba viaggiare, se non per pochi metri, e possa essere lavorato prima che il suo calore naturale si disperda.
Un’altra pratica, promossa dai produttori storici, è la monticazione, insieme alla mandria bovina, delle capre Orobiche.
Il latte di questi animali entra per un 10, 20% nella produzione del Bitto e gli conferisce una speciale aromaticità e persistenza.
Per assicurare il massimo controllo delle condizioni sanitarie del bestiame, i monticatori mungono solo a mano.
La salatura del formaggio avviene preferibilmente a secco; in questo modo si forma una crosta più delicata, garanzia di una migliore maturazione.
E’inoltre espressamente vietato l’uso di integratori nell’alimentazione dei bovini e l’uso di additivi, conservanti o fermenti selezionati nella produzione del formaggio.

 

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