Fonte Laphroaig.it
E’ di qualche giorno fa l’assurdo notizia che un Americano sta sperimentando un metodo per produrre in sei mesi un whiskey dell’apparente età di sei anni.
Voglio essere propositivo, non caricare questa assurda ipotesi di valori che non potrà mai avere.
I fatti raccontano di un imprenditore del Cleveland che ha ottenuto i permessi per mettere a punto questo metodo, ricevendo immediatamente una borsa di studio da un locale Istituto di Ricerca e l’interessamento dalla American Distilling Institute.
Capirete subito come sia allettante il poter ridurre gli onerosi costi per la maturazione di un whisk(e)y…
Il tutto sembra essere ancora un metodo molto casalingo, in una fase embrionale, con lo spirito messo a disposizione da una distilleria di Bourbon che subisce continui processi di riscaldamento, di raffreddamento e variazioni di pressione per – si pensa – ridurre notevolmente i tempi di maturazione del whiskey.
Il dibattito che ne è nato si è subito spostato su “Ma è impossibile che un metodo del genere porti allo stesso risultato, un appassionato capirebbe subito la differenza!”.
E qui sta l’errore di tutti noi.
La mia esperienza precedente è quella di assaggiatore di vino (non professionista), mondo che ho abbandonato perchè giudicato poco sincero.
Detta così è una affermazione troppo importante, tenterò di spiegarmi.
In Italia la cultura del vino ha subìto una decisa impennata negli ultimi 20 anni; nel nostro immaginario il vino sta passando da una bevanda quotidiana da pasto ad un consumo più critico in stretto abbinamento al cibo o addirittura da fuori pasto.
Grappoli di Nebbiolo Valtellinese
I miei appassionati amici spesso mi rinfacciano che il whisky tutto sommato prende il suo profilo aromatico dalla botte ex-Bourbon o ex-Sherry.
Io ribatto che gli darò ragione solo il giorno in cui mi porteranno un Bourbon o un vino che possa aver conferito a Laphroaig il suo caratteristico aroma medicinale e torbato.
Ma non mi fermo lì. Gli faccio anche notare che il whisky è davvero fatto utilizzando solo tre materie prime: l’orzo, l’acqua e il lievito.
Nientaltro può essere aggiunto durante la fermentazione, la distillazione, la maturazione e l’imbottigliamento (a parte una minuscola quantità di caramello, per chi ne fa uso, solo per stabilizzare il colore del prodotto finito).
Dall’altro lato, invece, la chimica nell’enologia ha fatto passi da gigante.
Oggi esistono additivi e correttori che consentono di fare prendere alla nostra uva qualsiasi strada desiderata.
A solo titolo di esempio questo è il collegamento ad uno di questi cataloghi.
Ne ho scelto uno a caso, quello con la grafica più accattivante; e mi piaceva anche l’uso del termine arte: è l’arte della vinificazione o è il vino costruito ad arte?
Se cercate in Google, le aziende più grandi che producono additivi per l’enologia hanno cataloghi ben più ampi.
E, cosa molto interessante, sono generalmente le stesse aziende che producono anche diserbanti, insetticidi, acidi per la pulizia delle botti, ecc. così l’avvelenamento è completo – dalla radice al bicchiere.
Non so dirvi quanti siano gli additivi naturali o chimici autorizzati in enologia dalla Legge Italiana, da qualche parte avevo letto che sono più di 100…
Alcuni esempi: lieviti che riescono a conferire aromi che l’uva non ha, acidi, enzimi, tannini (ma non dovrebbero arrivare solo dalla buccia dell’uva?!?), gelatine, chiarificanti, antiossidanti ma anche aromi per correggere facilmente il profilo aromatico del vino.
E a fronte di tutto ciò ci si trova quotidianamente di fronte a sommelier che parlano dell’importanza del vitigno, del terroir e del clima…
Tutto questo vi sembra sincero ed onesto?
In vino veritas?
Probabilmente sbaglierò, ma mi sembra che non sia sempre il caso…
Il fascino del Single Malt (e quindi credo anche il suo successo commerciale) è invece basato sulla semplicità e sulla trasparenza.
Ingredienti semplici, sistema produttivo artigianale, informazioni dichiarate in etichetta (quale è il produttore che dichiara il tipo di botte in cui è maturato il vino?) e soprattutto la serietà degli Scozzesi (se dichiarano 10 anni sono 10 anni, non come per i Rum).
Tutto questo avvicina parecchio il consumatore e diventa ancora più intenso se si ha la fortuna di conoscere le persone che stanno dietro a questo successo.
Voglio chiudere con dei numeri.
Nel 2009 gli ultranazionalisti Francesi hanno acquistato 180 milioni di bottiglie di Scotch Whisky (dati Scotch Whisky Association), qualcuno ha calcolato che sono più di 5 bottiglie al secondo…
Non male per una popolazione di circa 60 milioni di abitanti, ma la notizia che fa più clamore è che il consumo medio MENSILE di Scotch Whisky in Francia è superiore al consumo ANNUALE di Cognac; da non credere!
Insomma ho fatto un giro un po’ lungo ma non poteva esserci miglior finale:
detto tutto quello che abbiamo detto, che bisogno c’è di trovare scorciatoie?
Servirà un Presidio per difendere lo Scotch Whisky? /1
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