Long Pond distillery

Long Pond distillery

Long Pond distillery interpreta il classico stile dello stile heavy-bodied del Trewlany rum di Giamaica. Si trova a Nord dell’isola, vicina al port storico di Falmouth e a metà strada tra le mete turistiche di Montego Bay e Ocho Rios

 

Come anticipato, la distilleria di Long Pond non ha un visitor centre e normalmente non accetta visitatori. Quello che la mia proverbiale scarsa diplomazia non è riuscita a fare in 6 mesi, è stato invece gioco facile per Marco Graziano LeVieDelRum, che non smetterò mai di ringraziare. Eccomi, inaspettatamente, a varcare l’intimidatorio cancello della distilleria Long Pond e ad affrontare un gratificante viaggio nella storia del rum giamaicano.

Sono stato accolto dal direttore dell’impianto, dal responsabile del laboratorio interno e da Michael Dunkley, Group Operations Manager di National Rums of Jamaica. Li ringrazio per la disponibilità e per la notevole quantità di tempo che hanno voluto dedicarmi.

 

 

La distilleria Long Pond

Così Anna descriveva qualche mese fa la distilleria Long Pond.

Long Pond si trova nella Trelawny Parish, una zona storicamente legata alle prime piantagioni di canna da zucchero in Giamaica. È un gigante a lungo rimasto silenzioso, fondato come impianto produttivo nel 1753 in modo probabilmente simile a molte altre strutture che videro la luce in quell’epoca, in cui la Giamaica era già uno dei four horses del Regno Unito.

Sulle sue origini abbiamo informazioni molto lacunose: Long Pond significa letteralmente “grande stagno“, ed in effetti accanto alla factory lo stagno esiste, ma in realtà è anche il toponimo di una montagna situata a Nord del paese, oltre ad indicare una “plantation” di canna da zucchero il cui nome comincia ad essere presente nei registri dalla fine del XVIII secolo.

È di quell’epoca anche il collegamento alla storia dei Clarke, cugini sbarcati entrambi sull’isola in quel periodo, che diedero a loro volta il nome alla vicina Clark’s TownSimon, baronetto di Salford, fu esiliato in Giamaica nel 1730 per “reati di pirateria” quando era ancora un ufficiale della Royal Navy, dove raggiunse il cugino, arrivato qualche anno prima come “emissario della Corona“.

Fu durante il matrimonio del figlio di quest’ultimo nel 1760, chiamato anche lui Simon Clarke, che apparve il nome di Long Pond, tenuta coltivata a canna da zucchero di cui divenne proprietario.

Delle successive evoluzioni, a quanto pare, ci sono pochissime tracce: esiste qualche documento che parla della produzione di rum e zucchero, intorno al 1780, ma saltiamo ad ulteriori informazioni certe addirittura al 1921: in quell’anno la proprietà passò ad una società scozzese, Sheriff & Co (Bowmore, Islay), che costruì (o ricostruì) anche una sugar factory, ma del rum nessuna traccia, e questo passare sotto silenzio fu certo a causa della vendita prevalentemente in bulk, come ho già avuto modo di scrivere e di spiegare durante la masterclass e di scrivere, a commercianti e blender europei.

In alcuni casi, ci furono persino commercianti che possedevano plantation e distillerie, come la famiglia Wedderburn, titolare dell’omonimo marque di cui Anna aveva parlato nel suo precedente articolo.

I commercianti ed i blender importavano in Inghilterra rum “con invecchiamento dinamico” in grandi quantità, e questo poi finiva in vat per un invecchiamento “statico” nei docks del porto di Londra ed in altri porti britannici.

Long Pond era evidentemente un ottimo produttore, perciò, nel 1953, i canadesi di Seagram’s decisero di acquistarla per rendere più “interessante” il proprio marchio di rum Captain Morgan.

Presto Seagram’s avrà talmente tanta richiesta per questo marchio, che la Giamaica da sola non sarà più sufficiente, e si rivolgerà altrove, in luoghi in cui la produzione era maggiore, ed il costo della materia prima inferiore, ma nel frattempo, nel pieno della sua attività, per rifornire i magazzini di Seagram’s, Long Pond aveva annesso anche la vicina factory di Vale Royal e quella di Cambridge, che post acquisizione diventeranno suoi marques storici.

 

 

Dopo il decennio 1960, la Giamaica iniziò un processo di nazionalizzazione delle attività di produzione di rum e zucchero dell’isola: Long Pond Sugar Factory, con il nome di Trelawny Estate, divenne di proprietà statale nel 1977, poi, tre anni dopo, National Rums of Jamaica (NRJ) prese anche il controllo di Clarendon, Long Pond Distillery e Innswood, per poi perdere molti Estates nel 1993, decidendosi a chiedere infine una partecipazione di capitale a Demerara Distillers Limited in Guyana e West Indies Rum Distiller (WIRD) a Barbados, che, dal 2017, è di proprietà di Maison Ferrand.

È solo allora che Long Pond riaccenderà tutti i suoi alambicchi, dopo aver chiuso i battenti definitivamente nel 2012 per problematiche ambientali (i residui di distillazione venivano riversati nel terreno senza essere precedentemente trattati); siamo a luglio 2017. Ma pochi mesi dopo, nel 2018, un violento incendio – innescato nei campi di canna da zucchero e propagatosi alla distilleria – distrusse completamente l’edificio della fermentazione, con oltre 250 anni di storia, e mise in serio pericolo tutta la catena produttiva, che poté riprendere parzialmente nel 2019 (con solo i rum light) e in modo completo solo nel giugno 2022.

Mi è stato riferito che la NRJ ha appena completato una complessa procedura per la propria valorizzazione aziendale, passo che sembra anticipare una ulteriore cessione di quote da parte del governo giamaicano.

 

La vecchia sala di fermentazione di Long Pond

 

Long Pond, quello che rimase della sala di fermentazione dopo l’incendio del 2018

 

L’ampio spettro dei mark di Long Pond (da 50 a 1.600 gr/HLPA!), che riprendiamo qui sotto, e altre informazioni sulla distilleria, sono ben riassunte nell’approfondimento di Anna. Ricordo che ad ogni mark corrisponde un preciso periodo storico o uno stile di prodotto e che non si possono inventare mark a caso, visto che ogni ricetta deve essere registrata ed approvata prima di entrare in commercio.

 

MarksContenuto EsteriFermentazioneDistillazioneNome
LRM50-90 gr/HLPALightLight Pot
ITP/LSO90-120 gr/HLPALightLight PotIve Trewlany Pot
HJC/LIB120-150 gr/HLPALightLight PotPrecedentemente prodotto a Caymanas
VRW150-250 gr/HLPALightMedium PotVale Royale Wedderburn
OCLP250-400 gr/HLPALightMedium Pot
LPS400-550 gr/HLPAHeavy (dunder+muck)Heavy PotLong Pond Special
STC♥E550-700 gr/HLPAHeavy (dunder+muck)Heavy PotSimon Thompson Cambridge Estate
TECA1200-1300 gr/HLPAHeavy (dunder+muck)Heavy PotTilston Estate Continental ‘A’
TECB1300-1400 gr/HLPAHeavy (dunder+muck)Heavy PotTilston Estate Continental ‘B’
TECC1500-1600 gr/HLPAHeavy (dunder+muck)Heavy PotTilston Estate Continental ‘C’

 

I tre Mark più “heavy” sono gli stili Continental storicamente pensati per spedire dalla Giamaica all’Europa degli ingredienti “super concentrati” che poi venivano usati per insaporire alcol più leggero, e che oggi invece pensiamo di poter bere in purezza.

Ricordo anche che il livello di 1.600 gr/HLPA è la massima quantità di esteri concessa per un rum giamaicano, ed è definita non dal disciplinare della IG Jamaica Rum, ma da un regolamento della Jamaica’s Spirits Pool Association del 1935, ancora oggi attivo.

 

 

La fermentazione

La parte più affascinante della distilleria è, facilmente, la nuova sala di fermentazione. La completa ricostruzione, dopo l’incendio del 2018, ha lasciato spazio solo a qualche muro della vecchia struttura e ha cancellato definitivamente il complesso reticolo di un centinaio di piccoli tini di fermentazione. Ma consente anche al visitatore più distratto di mettere in chiaro tutti quelli che sono gli ingredienti della magica ricetta di Long Pond.

Diversamente da Worthy Park, la distilleria Long Pond fa uso di dunder e muck. Tre sono le tipologie di contenitori, tutti di legno: quelli per il dunder, quelli per l’acido di canna e quelli per la fermentazione. Oltre alle due vasche coperte di cemento (muck pit) miracolosamente risparmiate dall’incendio, oggi rimaste all’aperto nel piazzale posteriore e che non mi è consentito fotografare (in realtà all’ingresso mi era stata anticipata l’impossibilità di prendere foto, ma come vedete ho ottenuto molte deroghe).

Il vat dei dunder raccoglie quello che rimane negli alambicchi a fine distillazione. L’acido di canna è un vero e proprio aceto di canna: viene prodotto sul posto utilizzando succo di canna da zucchero e i lieviti naturalmente presenti sugli steli della canna (che vengono aggiunti nei tini). Il “vino di canna” che nascerà spontaneamente, svilupperà successivamente acido acetico e produrrà tutte quelle componenti acide che – come per il dunder – interagiranno con l’alcol etilico per produrre sempre più esteri fruttati. Infine c’è il muck, i fondi dei tini di fermentazione “putrefatti”, una massa semisolida a cui vengono aggiunti ingredienti organici (ananas, banana, melone, mango), responsabili delle note più funky del rum giamaicano. Come detto, i muck pit sono due, e il muck viene utilizzato dopo due anni di “maturazione batterica“, il che porta a rigenerare ogni anno una delle due vasche.

In una piccola stanza adiacente all’edificio della fermentazione, è posizionato un impianto di mixing; qui l’operatore andrà a prelevare dai rispettivi tini le quantità corrette di dunder, di melassa, di acido di canna e di muck, aggiungerà acqua, per creare il mosto che verrà lasciato fermare in modo spontaneo per settimane (da due a quattro).

Se per i Mark sino all’OCLP (esteri sino a 400 gr/HLPA) si usa una fermentazione “leggera”, per i Mark sino al TECC (esteri sino a 1.600) è sempre necessario aggiungere sia l’Acido di Canna, che la combinazione di Dunder e Muck.

Ma anche con il “peggiore” dei Muck risulta pressoché impossibile raggiungere i 1.200 gr/HLPA. Per i tre Mark più pesanti (TECA, TECB e TECC) è richiesto un ulteriore aiutino, con l’aggiunta nel mosto di sali di calcio, fecce di distillazione, high wines e acido solforico. È il cosiddetto Cousins Process, di cui prima o poi parleremo nel Nerd Corner: lo scopo è sempre lo stesso, acidificare il più possibile il mosto per ottenere sempre più esteri in fermentazione.

Il wash sarà a questo punto pronto per essere distillato dai tradizionali pot still double retort.

 

La ricetta di Long Pond: melassa + acido di canna + dunder + muck + acqua + alcune settimane di tempo per far svolgere la fermentazione

 

La produzione dell’acido di canna a Long Pond

 

La fermentazione spontanea a Long Pond

 

La distillazione

Presso la distilleria Long Pond sono presenti cinque Pot Still Double Retort e una colonna utilizzata in passato per la produzione dei Mark leggeri.

I cinque pot still sono consumati dal tempo; 3 sono di produzione John Dore (il #1 è datato 1983) e 2 Blair (installati nel 1965 e nel 1975). Quelli attivi sono solo due (il primo e l’ultima della schiera dei cinque), per un terzo (quello con il pot bianco) è previsto il ripristino, mentre i due in primo piano nella foto qui sotto sono privi di componenti essenziali e, per il momento, hanno solo funzione museale.

Non mi è stato possibile vedere la colonna, un vecchio Coffey Still, installato a fine anni ’60 nella alta struttura nera che domina la skyline della distilleria. È inattiva dal 2010, per le ragioni ambientali che abbiamo sopra accennato, anno in cui si è deciso di abbandonare lo stile Light e di puntare sullo stile heavy con l’utilizzo dei potstill e del dunder, ma con un paio di interventi potrebbe rientrare in attività.

 

Il sampler, la spirit safe di uno dei due retort in attività

 

Il Coffey di Long Pond, inattivo dal 2010

 

L’assaggio

Nel laboratorio della distilleria mi è stata offerta la possibilità di assaggiare tre Mark prodotti nel 2023 dai Double Retort di Long Pond, tutti e tre purtroppo ridotti – prima che io potessi intervenire – a circa il 40% abv, rispetto agli oltre 86% originari.

Il Long Pond ITP è lo stile Light Pot a 90-120 gr/HLPA, che grazie alle sue note di pera e liquirizia rischia di essere interpretato come un new make di una distilleria di whisky.

Il Long Pond OCLP è quello che di gran lunga ho preferito. Uno stile Medium Pot a 250-400 gr/HLPA, con note di frutta tropicale super matura e agrume per nulla disturbate da cenni funky.

Note eccentriche che erano invece ben presenti nel campione di Long Pond STC♥E, con i suoi 550-700 gr/HLPA. Qui la riduzione di gradazione ha probabilmente portato ad un impoverimento della parte dolce/fruttata e ad una esaltazione di quella “puzzona”, con il risultato di rompere il fragile equilibrio del rum e di trasformare la bevuta in qualcosa di meno piacevole.

 

 

Come si nota bene dai tre campioni, la principale attività di Long Pond è quella di produrre rum bianco in bulk per i propri clienti. Lo sa bene Velier che ha regalato agli appassionati diversi imbottigliamenti in edizione limitata, tra cui l’Habitation Velier STC♥E che avremo in degustazione durante uno dei prossimi #rumtasting.

Solo pochi mesi fa, il 16 agosto 2023 (giornata internazionale del rum), la National Rums of Jamaica (NRJ) ha presentato la prima uscita ufficiale di Long Pond, una novità assoluta dal 1753. Rum che ho potuto assaggiare al Lester’s Bar di Montego Bay. Il Long Pond ITP-15 Vintage 2006 è un rum invecchiato 15 anni sull’isola, single mark (il leggero ITP, 90-120 gr/HLPA) e single pot still (prodotto da un alambicco John Dore). Gradazione di imbottigliamento 45.7% abv, per un totale di 1.400 bottiglie rilasciate per il mercato locale e 2.402 per quello internazionale. Un rum elegante e vellutato, che combina spezie, frutta tropicale, banana, pera sciroppata, arricchite al palato da note di legno, spezie, cioccolato fondente. Una armonia che contrasta con il carattere scorbutico di molti rum giamaicani e che rischia di deludere gli appassionati dei 1000+ gr/HLPA. A me è piaciuto da impazzire, me lo sono coccolato per oltre mezzora nel bicchiere (un Glencairn, attenzione!).

Una esperienza, quella da Long Pond, estremamente didattica e che ci aiuta a comprendere sino a fondo anche le caratteristiche dell’altro mostro giamaicano dei super-esteri, la distilleria Hampden.

 

 

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