Il Nerd Corner di Anna
L’acqua, ingrediente o materia prima?
L’ingrediente principale del distillato che abbiamo nel bicchiere è, in una ratio di circa il 40% (con estremi del 25% e del 90% ABV) l’acqua. Nella stragrande maggioranza dei casi, come mi capita spesso di spiegare, essa viene considerata appunto un mero ingrediente, mentre, in realtà, è la materia prima più importante insieme alla materia prima di base nel nostro distillato, e, in alcuni casi, farà anche parte del suo carattere finale.
L’acqua viene utilizzata per molte cose diverse nella produzione di uno spirito, e una distilleria può utilizzare diverse fonti d’acqua o trattare l’acqua in modo diverso a seconda dello scopo per cui essa viene utilizzata: in una distilleria, infatti, classifichiamo proprio in base all’utilizzo l’acqua che abbiamo a disposizione, e sarà esso a guidarci nel differenziare i trattamenti che le vengono dedicati, posto che dobbiamo avere a disposizione una fornitura idrica “base” di una certa entità, direi abbondante, tanto che, storicamente, le distillerie furono sempre situate vicino a fonti d’acqua permanenti e di buona qualità.
Presso la distilleria Montebello, dove lavoro per Marie-Louise durante la saison cannière, l’acqua è garantita dalla presenza di una “rivière” dal flusso consistente e rapido, come ve ne sono parecchie a Basse-Terre.
Tornando al nostro utilizzo, classifichiamo l’acqua in: acqua che entra in contatto con il prodotto, come ingrediente (quella che entra nei mulini o nelle cuve di fermentazione) o come acqua di diluizione, quindi va da sé che quest’acqua deve avere un impatto controllato sul prodotto; acqua di processo, usata come mezzo per la pulizia degli acciai (cleaning in place o CIP) o anche come acqua di raffreddamento negli scambiatori di calore e nei condensatori: essa, non dovendo entrare in contatto diretto col prodotto, potrebbe essere molto trattata o non trattata per nulla; infine, abbiamo l’acqua di servizio utilizzata per scopi non produttivi, ad esempio nelle caldaie e nelle torri di raffreddamento, che può essere invece trattata per applicazioni specifiche: ad esempio, viene addolcita se serve le caldaie per prevenire incrostazioni di calcare, mentre se serve torri di raffreddamento può essere trattata con biocidi per prevenire la crescita del batterio della Legionella (causa di una polmonite che può anche risultare mortale).
In genere, l’acqua che si utilizza è molto vicina al pH 7, sebbene io preferisca per il mio lavoro un pH leggermente acido: si effettuano annualmente (se la distilleria è puntuale) analisi per determinare pH e durezza, ovvero composizione ionica dell’acqua, costituita da vari elementi cationici (caricati positivamente) e anionici (caricati negativamente). Un metodo facile per capire alle Antille quanto è dura l’acqua che utilizziamo per le più normali operazioni quotidiane è usare il sapone liquido o anche quello per i piatti per lavarsi le mani, facendolo cadere in un bacino che contiene un po’ di acqua: un’acqua dura farà collassare la schiuma poiché formerà sali insolubili di acidi grassi, che poi precipitano, mentre se l’acqua è meno dura, si formerà un bello strato di bolle. Detto ciò, a Marie Galante e Grande Terre l’acqua di solito è abbastanza dura, cosa non sempre vera su Basse Terre. Un’acqua dura sarà ricca di solfati, cloruri e nitrati di calcio o magnesio (durezza permanente), e di sali di carbonato o bicarbonato di calcio o magnesio (durezza temporanea).
La durezza dell’acqua può influenzare tantissimo il processo di produzione del nostro spirito, ma anche le nostre apparecchiature di misurazione, causando lo sviluppo di incrostazioni sulle superfici dei recipienti, che saranno sempre più difficili da pulire e soprattutto si popoleranno di un’allegra flora batterica. Inoltre, può compromettere la funzionalità delle caldaie più moderne, aumentare il consumo di agenti di pulizia e detersivi, che, molto spesso, trattengono in soluzione i sali minerali responsabili proprio della scarsa igiene e della durezza: insomma, un serpente che si morde la coda, per non parlare del fatto che la durezza temporanea rende il wort più alcalino e fa aumentare il pH di partenza delle nostre fermentazioni, così riducendo anche lo yield in alcool ed il successo generale del processo. Fortunatamente, la durezza permanente ci viene in aiuto, perché, grazie al cosiddetto effetto tampone, tende ad abbassare il pH del wort ed a facilitare alcuni processi fermentativi, soprattutto ad opera di Calcio, Magnesio e Solfati, ed una piccola quantità di Manganese e Rame (questi ultimi, a concentrazioni troppo elevate, sono tossici per i lieviti), mentre Nitriti e Nitrati sono purtroppo indice di inquinamento della nostra acqua che, a quel punto, dovrà essere debitamente trattata, soprattutto per evitare contaminanti che nuocciono alla salute umana: nitrati e nitriti possono provenire da residui di fertilizzanti e la loro concentrazione massima nell’acqua potabile deve restare compresa tra 50 e 5 mg/l secondo la Direttiva Europea sull’acqua potabile. Ci sono anche livelli fissati per i pesticidi.
Spesso, trattare l’acqua per uccidere flora microbica (tra cui virus e batteri molto pericolosi come Epatite A, E. Coli e Giardia, soprattutto in luoghi in cui c’è grande presenza di allevamenti di bestiame), può portare alla formazione di altri contaminanti, ma del gusto, come il cloro, frequentemente usato nelle reti idriche (in Guadalupa tantissimo), che, oltre a uccidere i microbi, reagisce con i composti presenti nell’acqua producendo clorofenolo, un composto dall’odore talmente forte che può essere rilevato a meno di 1 mg/l, conferendo all’acqua anche un terribile sapore medicinale.
Immaginate, non avendo scelta a causa di contaminanti segnalati, di dover diluire il vostro spirito finale con l’acqua della rete idrica: anche questo è accaduto, soprattutto nel passato, con esaltazione, in un rhum agricole, delle note medicinali ed amare. Per evitare pratiche del genere, in netto contrasto con una produzione di qualità, oggi molto spesso si sceglie di diluire con acqua precedentemente trattata con UV e osmosi inversa (o iperfiltrazione), pratiche che rendono il nostro medium principale safe e neutro in gusto e impatto. L’acqua che si decide di trattare ed utilizzare per il contatto diretto con lo spirito è molto spesso acqua piovana, nelle zone di Guadalupa e Marie Galante raccolta in apposite cisterne opache, oppure l’acqua “di superficie”, entrambe tipicamente più dolci, con un basso contenuto di minerali rispetto all’acqua di falda profonda, da noi in ogni caso abbastanza rara: la scuola che oggi prevale, infatti, è sempre quella del minor impatto possibile sul gusto finale e dell’esaltazione del lavoro in distilleria.
Tuttavia, poiché queste acque sono a contatto con l’atmosfera esterna, generalmente contengono un livello più elevato di materiale organico, hanno temperature più alte, il che favorisce la crescita microbiologica, e, non scontato, le cisterne in cui sono stoccate non sono pulite pedissequamente da queste parti. Inoltre, le acque superficiali, diversamente da quelle piovane, sono esposte all’inquinamento proveniente dai centri abitati e dalle acque di deflusso agricolo che comunque contengono fertilizzanti e pesticidi, e molto spesso non ci si espone al loro utilizzo nemmeno dopo una iperfiltrazione, che arriva a purificare al 95-98%. In quel caso, esse vengono lasciate da parte, e si utilizza, per fermentazioni o contatto diretto con lo spirito, o l’acqua piovana trattata oppure l’acqua sotterranea, che ha spesso un alto contenuto di minerali trovandosi in substrati rocciosi, che da noi sono calcarei e ferrosi (suoli ferrallitici), dai quali viene ottimamente filtrata: un trattamento UV la renderà microbiologicamente stabile senza toglierle carattere, che trasmetterà totalmente al prodotto finale, come e più di un ingrediente, essendo stata parte attiva della sua creazione: è un effetto che a me non dispiace e che trovo, tutto sommato, arricchire quello che tanto ci sforziamo oggi di ricercare e delineare come “terroir”, e che spero ritrovare sempre di più anche nel mondo del rhum agricole, che del terroir è la summa, senza nulla togliere alla sua proverbiale “finezza”.