In Italia le prime testimonianze sulla distillazione di materie prime alcoliche, utilizzate prevalentemente in medicina, risalgono al XII e XIII secolo. Se il funzionamento del potstill, per quanto inizialmente avvolto nel mistero, è stato da subito chiaro ai suoi distillatori, l’arte della condensazione ha richiesto secoli prima di affinarsi come la conosciamo oggi. Un’arte che si è affinata anche grazie al prezioso contributo di Leonardo da Vinci.
Codice Atlantico, il foglio 216 r (circa 1485)
Il Codice Atlantico (Codex Atlanticus) è la più ampia raccolta di disegni e scritti autografati di Leonardo da Vinci, conservato dal 1637 presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano. È costituito da 1119 fogli, la gran parte compilati su entrambe le facciate.
Non è stato assemblato da Leonardo. Alla fine del XVI secolo lo scultore milanese Pompeo Leoni riuscì a recuperare un numero consistente di scritti e disegni leonardeschi dagli eredi di Giovan Francesco Melzi, il fedele allievo a cui Leonardo, sul punto di morte, aveva affidato tutti i suoi manoscritti.
I fogli, scritti tra il 1478 e il 1519, trattano di diversi argomenti, dalla meccanica all’idraulica, dalla matematica all’architettura, fino a curiose invenzioni di macchine belliche e volanti.
Leonardo ha affrontato in più occasioni il tema della distillazione, specialmente per quanto riguarda i loro sistemi per il raffreddamento. Fino alla fine del XV secolo questa operazione era eseguita applicando delle pezze di tessuto bagnate sul cappello dell’alambicco. I disegni di Leonardo sono la testimonianza più antica degli impianti per la condensazione.
Sono manoscritti compilati negli anni in cui la distillazione entrava nel mondo agricolo e il distillato si convertiva a bene di consumo e ben testimoniano lo stato della tecnologia ai quei tempi.
Riprendiamo il commento di Andrea Bernardoni (2013)
Nel foglio 216r, come nel 1114r a, troviamo la rappresentazione di un impianto di distillazione refrigerato per mezzo di un recipiente costruito intorno al cappello dell’alambicco, dal quale viene fatta defluire l’acqua, reintegrata continuamente da un serbatoio. Lo studio di questo impianto è molto dettagliato e comprende disegni e annotazioni relativi anche alla costruzione dell’alambicco che Leonardo dice di realizzare per fusione:
Questo fornello ha [a] aver continuamente un’acqua la quale continuamente si muta, acciò che ’l cappello del lambicco stia sempre freddo, I quale sta sotto detta acqua. E questa è la via da fare ogni stillazione chiara e bella. E quando hai destillato, fai bollire sapon tenero colla risedenza, e poi lo potrai lavare a tua posta. E fassi detto limbicco in istampa.
Quando voi fare il limbicco di rilievo per formare di gesso, fa prima fare questo di legnheo al tornio, e colla terra di cimatura lo finisci.
Si tratta di annotazioni molto importanti perché sono le testimonianze più antiche in nostro possesso relative alla costruzione di un alambicco. Si tratta, tra l’altro, di una tecnica molto curiosa, che non sembra trovare riscontro neanche in seguito, nella quale si prevede la realizzazione dell’alambicco attraverso un “metodo di fusione indiretto”. In alto a sinistra è disegnato il modello dell’alambicco che Leonardo dice dover essere realizzato in legno al tornio. Sullo stesso lato, in basso, è disegnato lo stampo per la fusione. Una tecnica anche molto progredita poiché lo stampo, come sembrano indicare la linea di taglio con i denti di posizionamento e le maniglie nella parte superiore, sembra concepito per fusioni in serie, che troveremo poi descritte nel De la pirotechnia di Vannoccio Biringuccio, circa quarantacinque anni dopo (1540). Enigmatico resta il materiale da impiegare in questa fusione. Se da un lato, infatti, il riferimento che Leonardo fa nella carta 3r del Manoscritto E all’opportunità di utilizzare alambicchi di vetro, induce a supporre che egli prediliga questo tipo di materiale, è pur vero però che il vetro, allo stato di fusione, è una sostanza viscosa, non idonea per colate a gravità di spessori sottili. Inoltre, la rigidità del nucleo di fusione non consentirebbe il ritiro del materiale durante la solidificazione, provocando la rottura dell’alambicco. Più sensato, quindi, come ha ipotizzato Ladislao Reti, è supporre l’impiego di una lega metallica tipo il bronzo o l’ottone. Non è tuttavia escludibile che Leonardo stesse pensando a una colata in vetro, tecnica questa che nel foglio 10v del Manoscritto B prende in considerazione per la realizzazione di una campana: «farai il fornello usato a modo di bombarde e quando il vetro è fonduto versalo nella forma infocata». Le tecniche di lavorazione del vetro per stampaggio o soffiatura erano conosciute fin dall’antichità e trovano un indizio importante per il periodo medievale nel Libro sull’acqua arzente di Michele Savonarola, in cui si afferma che i moderni alchimisti usano alambicchi di vetro. Nonostante la diffusione di questi apparati, presenti oltre che nei laboratori degli alchimisti anche in quelli degli artigiani, la prima testimonianza esplicita, dopo Savonarola, sull’uso di alambicchi in vetro è quella di Leonardo nel Manoscritto E.
Di seguito altri disegni di Leonardo.
Codice Atlantico, il foglio 912 r (circa 1480)
Codice Atlantico, il foglio 1114 b r (circa 1479)