La Canne Noire di Bologne e l’autoselezione

La Canne Noire di Bologne e l’autoselezione


Il Nerd Corner di Anna

La Canne Noire di Bologne e l’autoselezione

Avrete certamente sentito parlare, negli ultimi tempi, di Canne Noire, una varietà di canna da zucchero dallo stelo consistente e non particolarmente alto, ricco di cera, e di colore scurissimo, molto simile, alla vista, alla “Cana Preta” che avevo avuto modo di osservare da vicino a Sao Tomé. Questa varietà è stata portata alla ribalta da Rhum Bologne, che, ad oggi, risulta essere l’unico utilizzatore, e che l’ha resa protagonista delle sue cuvée più prestigiose come Black Cane, La Petite Canne Noire, Le Distillat, ed i parcellari che la sposano a terroir particolarmente espressivi, come La Coulisse e La Batterie.

 

 

L’origine

Fu isolata e ibridata, come molte altre utilizzate in Guadalupa, a Barbados, negli anni 1950: è sicuramente stata piantata in altri luoghi dei Caraibi, oltre a Basse-Terre, sotto le pendici della Soufrière, senza avere, con tutta probabilità, lo stesso successo. Vediamo perché.

Un esperimento noto e testimoniato (Sucaf – Ferké), negli anni 1990, la vede protagonista di alcuni test condotti in Costa D’Avorio, per risolvere un problema parassitario relativo ad una varietà di Natal e Coimbatore (NCo376) ivi utilizzata, insieme ad una decina di altre varietà tra sperimentali di Guadalupa (codice FR), barbadiane (B), reunionensi (R), messicane (MEX) e brasiliane (SP): i risultati di quella sessione specifica furono valutati nell’arco degli abituali 5 anni di sviluppo vegetativo, e nessuna delle varietà provenienti da Guadalupa emerse per vigoria, tenore zuccherino e soprattutto resistenza agli attacchi dei parassiti. Nemmeno la Noire, che in Guadalupa si era installata nella sua nicchia di favore, sotto la Soufrière, si distinse particolarmente, pur restando meno sensibile delle varietà FR agli attacchi intranodali. Essa infatti non garantì, in quel test, una maturazione veloce, e neppure un tasso zuccherino stabilmente elevato. Le varietà brasiliane (SP), e Reunionensi (R) si rivelarono quindi i migliori candidati alla sostituzione o ibridazione di NCo376. Videlicet.

 

 

Bene ma non benissimo, insomma. Un risultato che sicuramente la portò a non essere la selezione di punta nei luoghi in cui la presenza di condizioni di coabitazione con altre varietà, e soprattutto di nuovi parassiti o antagonisti, potevano minarne la prolificità, già non particolarmente elevata: in quell’esperimento le varietà considerate vincenti furono infatti le cosiddette “varietà commerciali”, e non le varietà “selezionate”.

 

Il lento adattamento

Va da sé, come capirete, che non siamo affatto di fronte ad una varietà commerciale, ma ad una varietà molto rustica, come si evince dall’aspetto e dalle gemme internodali che sembrano piccole corna, frutto di selezione ma che in realtà si adatta molto (troppo) lentamente ad un suolo, e tende infine a diventarne parte integrante: nell’arco degli ultimi 60 anni essa è divenuta ad un tempo la padrona e la serva dei pendii non meccanizzabili di Basse-Terre (è ovviamente soggetta a coupe à la main), e, proprio per questo, l’interprete univoca di quel “terroir” dai suoli leggeri, vulcanici ed iperminerali, perseguendo, negli anni, quella che potrei definire facilmente una “autoselezione”, che diventa anche un’autosegregazione, rafforzata dall’occupazione di una vera e propria area laterale, così come se usassimo, in agronomia, la legge linguistica di Zipf.

Bologne, negli ultimi 15 anni, prima grazie alle geniali intuizioni di Frederic David ed ora a quelle di Francois Xavier Sobczak, ha avuto la dote di comprendere e sfruttare questa attitudine, e creare, a partire da essa, una strategia commerciale ed uno storytelling che, ad oggi, non hanno mai perso colpi, anche perché non esistono, al mondo altre interpretazioni della Canne Noire: se dovessimo infatti tracciarne, da un punto di vista aromatico, il carattere, sarebbe molto meno difficile che per altre varietà, essendo uno soltanto il terroir, pur con qualche differenza tra le singole parcelle, la fermentazione e la distillazione, e uno solo l’interprete. Una recente degustazione orchestrata da Francois Xavier ci ha permesso, insieme a Whisky Club Italia, di apprezzare proprio il lavoro che negli anni è stato fatto sulle fermentazioni, per permettere a questa identità rustica e aromaticamente “diversa”, di essere trasmessa in maniera diretta ed in tutte le sue sfumature.

 

La degustazione con Francois Xavier durante la visita di Whisky Club Italia

 

Gli imbottigliamenti Bologne

Il lavoro più formidabile fu svolto, a suo tempo, e a mio modesto avviso, sul parcellare “La Coulisse”, oggi non più prodotto: bianco da 100% Canne Noire appartenente ad una parcella molto vecchia, eponima, di oltre 4 Ha, dall’insoleggiamento regolare e perfetto, attraversata da un corso d’acqua e accarezzata dai venti oceanici. La Coulisse, figlia di Frederic, per la quale si fecero vari tentativi di fermentazione, prediligendo all’epoca l’utilizzo di un pied-de-cuve per trasmetterne l’unicità, fu uno di quei parcellari che avevano senso compiuto, e che coglievano l’essenza e la continuità tra terroir, varietà, fermentazione e distillazione. La Canne Noire cominciava a diventare un “fenomeno”, e ne nacque un rhum blanc agricole verticale e complesso, dalle note prima aeree e floreali di lilium, poi terrene di agrumi, frutta bianca, spezie balsamiche ed infine, di iodio e pietra focaia, proposto alla gradazione particolarmente indovinata di 60% ABV.

Erede diretto di quella linea produttiva, e di altri importanti test sulla fermentazione (ivi compresi quelli con lieviti indigeni), è la seconda versione di “Le Distillat”, brut de colonne frutto del lavoro di Francois Xavier propostoci come ultimo bianco in degustazione nella masterclass organizzata per noi: un rhum che trova nei suoi oltre 70% ABV la gradazione perfetta, quella che non penalizza la texture, molto ricca e avviluppante, ma nemmeno la verticalità e la differenziazione degli aromi, perfettamente riflessi tra naso e bocca. Diversi e complementari a quelli della Coulisse, si arricchiscono di tanta frutta gialla, soprattutto albicocca matura e ananas, e della punta acidula della marasca. Il finale balsamico e fumé resta la firma autentica del carattere rustico e “racé” di questa varietà che ha fatto delle pendici della Soufrière la sua casa, sino a diventare parte integrante del paesaggio naturale ed umano. Ora si tratterà, visto che è tanto integrata in questo paesaggio, di difenderla dagli attacchi di nuovi parassiti che le possono essere nocivi, ed è questo l’attuale sforzo di Bologne per salvaguardare un’unicità.

 


 

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