Approfitto della masterclass tenuta pochi giorni fa a DISTILLO Expo 2023 da Andrew Fitzgerald, Gospel Distillery, per una sintetica ricostruzione storica della produzione di whisky in una terra assai remota: l’Australia.
Come mi piace raccontare, quando me ne viene offerta l’occasione, tutto il mondo interpreta il whisky allo stesso modo. Dal coro si staccano, per stravaganza, due sole voci: quella del Galles e – con un volume decisamente più alto – quella dell’Australia. L’era moderna del whisky australiano è agli albori, ma sembra avere già delineato una concreta identità nazionale.

Perché whisky in Australia?
La popolazione ridotta e la vasta disponibilità di terreni coltivabili rendono l’Australia un esportatore netto di cereali: se ne produce, in modo sostenibile, una quantità ben superiore al proprio fabbisogno.
Il clima Australiano – che oscilla tra quello arido del deserto e quello fresco e umido della Tasmania, passando per quello oceanico-tropicale del centro-nord – offre interessanti opportunità per una ricca maturazione del whisky. Una ulteriore spinta arriva dal ricco patrimonio di birrifici e dall’attuale sostegno offerto dal Governo. Melbourne è la Food Bowl (serbatoio alimentare) dell’Australia e, grazie anche alla sua naturale biodiversità, una tra le più significative aree agricole dell’intero pianeta. La naturale propensione all’imprenditoria completa un quadro affascinante che ha saputo attirare l’attenzione del consumatore: il suo vino, le pecore con la loro lana e appunto i cereali, hanno saputo conquistare importanti mercati internazionali.
L’Australia è anche un importante produttore di canna da zucchero, il rum australiano è ben conosciuto tra gli appassionati.
La storia del whisky in Australia
Così come accaduto in America, gli Scozzesi e gli Irlandesi hanno portato anche in Australia il loro amore per la distillazione.
Le prime attività sono datate inizio XIX secolo; la distillazione fu legalizzata dal governatore del New South Wales alla fine del 1820 e nel 1822 fu aperta la prima distilleria legale, la Sorell Distillery, vicino a Hobart Town, capitale della Tasmania. La prima di 16 distillerie nate in Tasmania, prima che il Governatore John Franklin approvasse il Prohibition Distillation Act (1839), che vietò la produzione di distillato. Un provvedimento introdotto su richiesta della moglie Lady Jane, che usava esclamare “Preferisco che l’orzo venga dato da mangiare ai maiali, piuttosto che usato per trasformare gli uomini in suini“.
In molti sostengono che se la Tasmania avesse avuto la possibilità di prosperare senza vincoli di legge, sarebbe potuta diventare una delle grandi regioni di produzione di whisky al mondo, al pari della Scozia. Invece, la distillazione è potuta continuare, a ritmo sostenuto, solo nel resto del paese.
Sydney aveva due grandi distillerie di whisky in funzione tra il 1825 e il 1850, anno in cui la loro attenzione si spostò sulla produzione di rum. In pochi decenni lo Stato di Victoria, la punta meridionale della grande isola australiana, divenne rapidamente un importante centro della distillazione. Molte grandi distillerie conquistarono il mercato nazionale durante il periodo coloniale (1863-1929).
In seguito al Victorian Distillation Act del 1862, la distillazione di whisky su larga scala nel paese iniziò nel 1863, con l’apertura della distilleria Warrenheip di John Dunn fuori Ballarat, che è stata la seconda più grande distilleria australiana fino al 1930. Nel 1888 venne costruita a Port Melbourne la distilleria Federal, all’epoca la terza distilleria più grande del mondo. Nel 1894 produceva oltre 1,1 milioni di litri di alcolici all’anno, non tutto whisky, visto che distillava anche brandy e gin.

Dal 1930 i grandi produttori Britannici di whisky iniziarono ad aprire distillerie in Australia, utilizzando materiali importati dalla Gran Bretagna: è l’epoca dei Blended whisky, durata sino agli anni ’80. È appunto del 1930 la costruzione, da parte della Distillers Company (la attuale Diageo), della distilleria Corio, appena fuori Geelong. Corio divenne rapidamente la principale distilleria Australiana, anche grazie alla fusione – appena dopo la sua apertura – con la Federal Distilleries. Il suo “5 Star Whisky” era invecchiato in botti di rovere per cinque anni e suscitò parecchi scalpore quando venne rilasciato per la prima volta nel 1956. Per un breve periodo le vendite di whisky prodotto in patria superarono quelle di whisky di importazione.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Gilbey’s di Londra – allora la seconda più grande distilleria del pianeta – aprì una distilleria a Melbourne, e contestualmente acquisì la Milne Distillery di Adelaide. La quasi totalità della produzione di whisky finì così sotto il controllo di due gruppi internazionali. In quegli anni gli elevati dazi di importazione (40%) davano a queste due grandi aziende l’opportunità di produrre localmente whisky a basso costo, di qualità bassa, che fosse molto competitivo rispetto allo Scotch di importazione. Il risultato fu un impoverimento del whisky australiano e la nascita di una sua scarsa reputazione.
Dopo avere superato, nonostante queste difficoltà, l’influenza dei movimenti per la Temperanza e le due Guerre Mondiali, il colpo di grazia all’industry del whisky australiano è arrivato negli anni ’60, quando il Governo Federale Australiano decise di rimuovere i dazi doganali di importazione per i distillati internazionali. Questo portò al progressivo azzeramento della domanda di whisky australiano, a vantaggio dei più blasonati marchi internazionali. Entro il 1980, tutte le grandi distillerie australiane vennero chiuse e furono vendute, il che portò al sostanziale azzeramento della produzione locale.
La rinascita del whisky australiano
Una storia parallela a quella dell’Irish whiskey, sia per la grande crisi del dopoguerra, sia per l’intervento di un salvatore. In Australia il suo nome non è Teeling, ma è Bill Lark. La rivincita non poteva che arrivare dalla Tasmania.
Negli anni ’90 Bill intraprese una campagna per revocare la legislazione che regolava la distillazione – incluso l’iniquo regime fiscale – e fondò, nel 1992, la Lark distillery. Venne seguito da molte altre distillerie, in Tasmania e nello Stato di Victoria.
Non solo tassazione. Venne anche abrogato l’obbligo, introdotto dal Distillation Act del 1901, di dover utilizzare alambicchi (il wash still per la precisione) con un volume superiore ai 2.700 litri.
Poteva così nascere l’era moderna del whisky australiano, gran parte del merito è attributo a Mr.Lark e la produzione di whisky in Australia poteva finalmente tornare a decollare.
Nonostante la Tasmania stesse emergendo come la principale regione australiana produttrice di whisky, Victoria è sempre rimasta protagonista. Alcuni considerano Bakery Hill (1999, East Melbourne) come la prima distilleria artigianale di Australia e Starward (fondata nel 2004 come New World Whisky a South Melbourne) come prima distilleria di single malt su scala commerciale in Australia.
Oggi, 30 anni dopo, in Australia sono attive oltre 350 distillerie – tra cui 86 produttori di whisky, anche se la gran parte della produzione è di gin.

Cosa è oggi il whisky australiano?
Il whisky in Australia è un distillato ottenuto da un mash fermentato di cereali, in modo tale che il suo gusto e il suo aroma siano quelli normalmente attribuiti al whisk(e)y. Deve essere affinato per almeno due anni in botti di legno (nessuna indicazione sull’obbligo di usare rovere e sul volume massimo del contenitore). Può essere legalmente imbottigliato dal 37% abv in su, caso unico tra i produttori di whisky che solitamente accettano una gradazione minima del 40%. Una peculiarità che sembra essere un ultimo retaggio delle legge imposte ad inizio 1900 dai Movimenti per la Temperanza e dal razionamento introdotto dalla prima guerra mondiale.
Questa è la definizione legislativa di Whisky Australiano.
Nella realtà dei fatti, la quasi totalità delle distillerie di whisky in Australia produce single malt seguendo quello che è il tradizionale sistema produttivo scozzese:
- Doppia distillazione in Pot Still
- Utilizzo principale di malto d’orzo (pale malt)
- Utilizzo sporadico di torba locale o di metodi alternativi di affumicatura (legno)
La maggioranza delle distilleria utilizza alambicchi locali prodotti dalla Knapp Lewer (Tasmania) e botti di vino rosso australiano per l’affinamento.
Si sta quindi iniziando a delineare quello che è lo stile del “whisky australiano“. Un whisky che era conosciuto per la sua scarsa qualità, inizia ora – grazie al movimento artigianale – ad attirare l’attenzione delle critiche e del consumo internazionale.
Nonostante il forte legame con la tradizione scozzese, il carattere del whisky australiano è sensibilmente diverso e legato ad una diversità di stili facilmente associabili all’anima craft.
Il consumo di whisky in Australia
Con una popolazione di 25 milioni di abitanti, di 20 milioni oltre i 18 anni (l’età minima per il consumo di alcol), l’Australia è un interessante mercato per il consumo di whisky.
Oggi, circa il 50% del whisky consumato in loco è Bourbon/Tennessee Whisky, quasi tutto Jack Daniels, bevuto con Coca Cola. Lo Scotch Whisky segue al 26%, prevalentemente Blended, con Johnnie Walker a fare da padrone. L’Irish Whiskey e il Canadian si dividono la parte restante del mercato. Il whisky Australiano contribuisce solo all’1% del consumo nazionale, con la quota principale detenuta dalla distilleria Starward.
L’export di whisky australiano è stato in crescita, con una curva esponenziale, sino al 2019, per poi subire una battuta di arresto durante la pandemia. La tassazione sull’alcol è ancora molto importante, decisamente superiore rispetto a quella delle altre nazionali del mondo occidentale, arrivando al folle importo di 25-30€ per bottiglia, contro i 6€ degli Stati Uniti e i 5€ dell’Italia.
Nonostante il tentativo da parte del movimento craft di sensibilizzare la politica ad una riduzione delle accise, nell’agosto 2022 i distillatori australiani sono stati colpiti da un nuovo incremento. La tassa sullo spirito è salita di un ulteriore 3.7%, arrivando alla cifra record di 97.7 AU$ per litro di alcol puro. Sono esattamente 60€, un balzello cinque volte superiore rispetto a quello vigente in Italia (dove l’accisa incide per 10.35€ + iva al litro anidro).
Per i distillatori australiani l’esportazione diventa, sempre più, una necessità.
La mappa delle distillerie
Di seguito la mappa delle distillerie attive in Australia, che ci fornisce una idea della loro dislocazione e dei “flussi” del sempre più importante turismo in distilleria (fonte www.thewhiskylist.com.au).