Nick a proposito di Jay Gatsby: “Era venuto da così lontano ed il suo sogno deve essergli sembrato così vicino, da non credere di non poterlo afferrare, ma non sapeva di averlo già alle spalle”.
Nella Washington di fine Ottocento l’ex colonnello e lobbista Joe Rickey è titolare dello Shoomaker, uno dei cocktail bar più famosi della città ed è, ovviamente, amante dei cocktail e sempre in cerca di nuove e sorprendenti esperienze alcoliche.
In una caldissima giornata estiva, e Dio sa quanto fa caldo e umido a Washington, d’estate, quando al giorno d’oggi frotte di turisti si muovono storditi tra il Congresso e la sua Biblioteca, magnifica, il Pentagono, la Casa Bianca ed il monumento al grande Abramo Lincoln, il buon Joe ebbe l’illuminazione.
Joe parlò con il barman, il dinamico George Williamson per creare un cocktail nuovo, differente, fresco.
Nacque un cocktail fatto di soda, succo di lime, ghiaccio, oltre al Bourbon whiskey, che il patron Joe amava golosamente.
Ebbe vita quindi la prima versione del drink, che piacque molto al nostro eroe.
Tuttavia, la svolta che fece diventare una buona idea un’invenzione geniale, fu la innovazione nella ricetta che subì il cocktail nel 1893, in occasione dell’Expo di Chicago, quando il Bourbon venne sostituito con il Gin, dando vita al cosiddetto Gin Rickey.
Il Gin Rickey da allora spopolò negli States, a tal punto da essere considerato il vero simbolo sociale dei “Roaring Twenties”, gli “Anni Ruggenti”, in cui la borghesia, la crema della parte intellettuale, bohème ed artistica degli States viveva, tra le Due Guerre, un’epoca di illusioni meravigliose, condite da un jazz straordinario, tra party lussuriosi e mondanità eterea e straripante.
Il cantore, l’aedo di quest’epoca, che fu anche definita del jazz e del charleston, in cui non c’era spazio per il pessimismo e la vita degli Uomini sembrava essere destinata ad un progresso senza limiti, ma con tanto alcol, fu, senza dubbio, Francis Scott Fitzgerald.
Francis amava, ricambiato felicemente, l’alcol, le feste, la bella vita, la trasgressione, e, tra l’altro, era un devoto ammiratore del Gin Rickey, tanto da renderlo protagonista di uno dei suoi capolavori letterari, il Grande Gatsby, pubblicato a New York nel 1925.
Il Gin Rickey
E allora prima di accingervi a leggere il romanzo o a vedere i film che ne sono il frutto, impariamo a creare il cocktail, non prima di aver messo su un buon disco jazz a 33 giri ed aver costruito un’atmosfera di luci soffuse nella vostra dolce dimora, al riparo dagli eccessi di calura estiva.
Procuriamoci:
- 6 cl di Gin
- Succo di ½ lime
- Soda water
Prendiamo un Highball, ossia un bicchiere tipo Tumbler, cilindrico, di capacità tra i 240 e i 350 ml, che già utilizzate per creare i vostri goduriosi Cuba Libre o Gin Tonic.
Riempiamo di ghiaccio il bicchiere, ciò servirà a freddare il nostro Gin, che verseremo poi con il succo di lime, mescoleremo con passo lento ma deciso e finiremo con la soda water, quasi a giungere all’orlo dell’Highball. Non mancherà una fetta di lime a guarnizione.
Ma torniamo a F.S.Fitzgerald.
Considerato uno dei più grandi ed influenti scrittori americani del ventesimo secolo, la sua reputazione è legata a straordinari romanzi che raccontano la tragedia dell’american way of living, come il Grande Gatsby, in cui l’autore, quasi autobiograficamente, attraversato il periodo dell’amore straripante per l’alcol e per le donne, indaga retrospettivamente per cercare di capire dove e perché la sua vita ha raggiunto abissi profondissimi.
Come scrisse Andrew Le Vot, nel Grande Gatsby “Fitzgerald assume su di sé tutta la debolezza e la depravazione della natura umana” (F. Scott Fitzgerald: A Biography, N.Y., Doubleday, 1983).
All’apice della ricchezza, tra potenza ed invidia generale, scorre la vita di Gatsby, annoiato ed infelice, misterioso ex gangster, ricchissimo e paradossalmente nella vana ricerca di un insoddisfatto e vano amore per Daisy cugina della voce narrante Nick Carraway, trasferitosi a New York nell’estate del 1922 e precisamente nella lussuosa e lussuriosa Long Island, dimora dei nuovi ricchi americani impegnati a celebrarsi reciprocamente in insensate ed infinite feste, cui partecipano tutti insieme, senza nemmeno conoscersi realmente.
Dall’opera straordinaria di Francis, alcune trasposizioni cinematografiche, tra cui, probabilmente, la più nota quella del regista Baz Luhrmann del 2013,Oscar alla Scenografia ed Oscar ai Costumi, con un cast straordinario tra cui spiccano un ispirato Leonardo Di Caprio, nel ruolo di Jay Gatsby, Tobey Maguire, nei panni della voce narrante e coprotagonista Nick Carraway.
Di Caprio riesce a rendere Jay Gatsby il perfetto uomo comune che persegue l’illusione del felice sogno americano.
Non era semplice perché nella terza e precedente trasposizione filmica del romanzo del 1974, Gatsby era stato interpretato da Robert Redford, che però, più raffinato ed elegante, rende meno il Jay Gatsby del romanzo, e ossia un uomo che, a qualsiasi costo e vanamente, cerca di conquistare il cuore dell’adorata Daisy.
Il Gin Rickey, insieme al jazz ed al charleston, è la colonna sonora di questo film, come del romanzo. Esso compare a santificare le feste. Senza di esso un party non sarebbe serio. Come senza bella gente vana ed elegante che affolla questi party cercando ed inseguendo in qualche modo la felicità.
Nick: “Gatsby credeva nella luce verde, nel futuro orgiastico, che anno dopo anno si ritira davanti a noi, ieri c’è sfuggito, ma non importa. Domani correremo più forte, allungheremo di più le braccia e un bel mattino…Così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato”.
Disse Hemingway di Fitzgerald che Scott scriveva per essere perfetto nella scrittura e se non riusciva a esserlo, almeno raggiungeva lo stato di meraviglioso. E scriveva per la donna più importante della sua vita, Zelda, che però non riusciva a comprenderne la grandezza e con cui non raggiunse che un’effimera felicità, perché la stessa perse il senno e divenne dunque folle, sopravvivendogli per otto anni.
Zelda Sayre, bella, magra, bionda, occhi azzurri, figlia di un giudice, eppure del tutto non convenzionale, autore di un romanzo senza successo, “Save me the Waltz”, 1932, in cui parlava troppo di Scott, delle liti con lui, dell’abuso di alcol, dei suoi difetti.
Jay: “Tu eri sempre presente. In ogni idea. In ogni decisione. E se qualcosa non è di tuo gusto, io la cambierò”.