Incerto se invidiare più Cragan More in giro in Giappone alla ricerca dello spirito di Masataka Taketsuru, nel centenario però di Suntory o Claudio Riva, immerso nelle acque alcoliche di Islay, decido intanto di ammirare su Youtube Keanu Reeves nell’interessante celebrazione video dei cento anni della Maison fondata da Shinjiro Tori, girato dalla whiskosa Sofia Coppola, da sempre ammiratrice del whisky Suntory.
Pare peraltro che Sofia avesse chiamato Bill Murray e Claudio Riva per le riprese ma entrambi, impegnati, avessero rifiutato, cortesemente, l’invito.
Tuttavia, non avendo sotto mano uno dei quattro nuovi imbottigliamenti che Suntory dedica al suo centesimo, decido di dedicarmi alla bevuta di uno Spirito indiano, rinvenuto nella mia cantina e giunto lì chissà da dove.
Il Feni
Forte di una tradizione millenaria, il feni è l’unico Spirito che in India può vantare la menzione di Indicazione Geografica.
Durante il tempo della colonizzazione portoghese, i soldati lusitani utilizzavano questo distillato come medicina, alleviando così i disturbi digestivi, attribuendo allo Spirito virtù curative. È lo Spirito originario di Goa, ed è legato da millenni alla storia di queste terre. E questo è già un fatto curioso e paradossale se si pensa che in molte parti dell’India l’alcol è tabù e tuttavia il mercato indiano dell’alcol rappresenta uno dei mercati più importanti, anche economicamente, del mondo.
Molti sono gli Spiriti consumati in India, ma una delle principali tradizioni sociali e culturali di Goa è sicuramente il Feni. I due Feni più famosi sono il Feni di Anacardio e il Feni di Cocco.
La prima citazione del Feni la si trova in un diario del 1584 del commerciante ed agente segreto olandese, Jan Huyghen van Linschoten, che menziona il Feni di Cocco, che probabilmente esisteva ancor prima del Feni di Anacardio, pianta introdotta dai Portoghesi in India intorno agli inizi del Cinquecento.
La parola deriva dal sanscrito e significa schiuma, probabilmente indicando quella che si forma quando si agita nel bicchiere o ancor più probabilmente quella che si forma durante il processo di creazione del distillato. La gradazione alcolica cambia tra il 43 e il 45% del Goa meridionale, al meno elevato grado del Goa settentrionale.
Il Feni di Cocco vede innanzitutto il ruolo dei renders, mitici arrampicatori che raccolgono la linfa del bocciolo del fiore, ponendo un contenitore di terracotta appeso all’albero legato ai boccioli, che quando gonfi e maturi, vengono incisi affinché possa essere raccolta la linfa nei vasi. La linfa viene lasciata a fermentare in vasi di terracotta o porcellana per almeno tre giorni. La distillazione di questo spirito molto consumato nella parte del Goa meridionale avviene in un complesso procedimento che passa attraverso la doppia distillazione in rudimentali alambicchi in argilla e rame, con dei low alcohols di circa 30 gradi ed una gradazione poi finale del prodotto intorno ai 43 gradi, in genere dopo un possibile affinamento in legno.
Il feni di Anacardi prevede nella sua elaborazione la raccolta dei frutti maturi, che privati dei semi vanno a cadere in un contenitore di roccia apposito e preparato in una determinata zone sotto l’albero. Vengono poi sottoposti, oggi, ad una pressatura e non più al calpestio degli uomini. La polpa viene poi picchettata a mano anche grazie all’ausilio di un grosso masso posto sopra di essa. Il succo viene poi posto in contenitori di terracotta o attualmente, per maggiore praticità, in sacchi di plastica, semisepolti nel terreno, dove avviene la fermentazione, senza aggiunta di lieviti esogeni, per diversi giorni.
La distillazione avviene tramite rudimentali alambicchi di rame, che prevedono l’uso di un pentolone alla base per la bollitura del liquido e da non molto tempo l’utilizzo di una serpentina di rame immersa in acqua fredda per la condensazione. La distillazione è tripla, il primo liquido distillato prende il nome di urrak, con una gradazione di circa 30 gradi alcolici ed è ridistillato con l’aggiunta di succo di anacardo con il risultato di ottenere uno spirito di circa 40/42 gradi alcolici e che prende il nome di cazulo o cajulo. Esso viene poi nuovamente distillato con urrak per dar vita al distillato finale di circa 45 gradi alcolici e chiamato finalmente Feni. Tuttavia questo spirito a tripla distillazione viene meno consumato rispetto a quello ottenuto dopo la seconda distillazione, cazulo, perché ritenuto troppo alcolico.
L’Anacardo Feni si realizza da febbraio a maggio, mentre il Feni da Cocco si produce tutto l’anno. Le microdistillerie che li producono, molto numerose, hanno lentamente cominciato a organizzare un commercio più strutturato, con l’utilizzo di contenitori in bottiglie di vetro per la vendita al dettaglio e all’ingrosso.
L’uso del Feni è versatile, come i tipi attualmente rinvenibili in India, e cioè almeno ventisei declinazioni differenti di questo distillato, esso non solo accompagna il pasto quotidiano ma comincia ad apparire con successo anche in mixology, uno dei drink che va per la maggiore in Goa è il Terra Bebida: Dukshiri Feni 20 ml, Campari 20 ml, birra fredda 20 ml, bitter rosso 20 ml, servito in un calice Old Fashioned e guarnito con una scorza di arancia.
Il futuro del Feni?
Secondo Rojita Tiwari, fondatrice di Drinks & Destination, una società specializzata in consulenza in Vini e Spiriti, il futuro dipenderà da quanto il Governo Indiano crederà nel possibile utilizzo e sfruttamento del distillato anche a fini turistici e di promozione del settore della distillazione nel grande Paese. Se si attueranno politiche di incentivazione e di promozione verso le microdistillerie, oltre quattrocento ad oggi, come si è fatto in Messico per il Mezcal ed in passato in Europa per altri distillati e per lo stesso champagne in Francia, il futuro potrebbe essere roseo.
Ed il feni potrebbe passare da un distillato legato alla tradizione ed al lavoro di manovali generosi che operano su alberi posti a 30 metri, spesso da terra, ad un destino di successo nei cocktail bar e nei ristoranti di tutto il mondo, ed i suoi sapori legati alla mineralità e alla terrosità delle zone di produzione mescolata alla ricchezza dei frutti, potrebbe conquistare l’Occidente.
Intanto, ancora niente spritz stasera, ma un bel libro sull’India ed un sorso di Feni di Cocco.