Niente. Quando visitiamo una distilleria in Scozia, rimaniamo ammaliati dalla perfetta integrazione tra le distillerie storiche e l’ambiente che le circonda. Una magia che si perpetua da secoli e che trasmette un immenso senso di pace e di territorio. Il perfetto matrimonio tra le preziose sorgenti di acqua, la maestria degli operatori e il microclima delle valli o delle isolette.
Ma tutti noi sappiamo che la distillazione è una attività avida di risorse, e che il tema della sostenibilità è da inizio millennio l’obiettivo primario per il settore. Il nostro pensiero va alla disponibilità di acqua di sorgente, ai traghetti sempre pieni di botti e di malto, all’inquinamento atmosferico provocato dalle gigantesche caldaie alimentate a nafta. Ma il vero punto di stress non si trova in Scozia, ma in territori molto lontani, dall’altra parte dell’oceano Atlantico.
L’importanza del rovere
Whisky significa obbligo di maturazione in botte, una richiesta resa esplicita dai disciplinari delle principali tipologie: Scotch, Bourbon e Irish. La Comunità Europea va oltre e non consente il commercio sul suo territorio di un whisky con meno di 3 anni di maturazione, che sia prodotto negli stati costituenti o importato. La situazione la conosciamo molto bene, il core range delle principali distillerie scozzesi di solito parte con un 10 o un 12 anni.
Il rovere è il legno preferito dai master blender, al punto che il suo uso è divenuto obbligatorio per le due espressioni più importanti, lo Scotch e il Bourbon. La trama del legno, perfetta per produrre doghe con una vita che superi serenamente il mezzo secolo, unita al ricco bagaglio aromatico hanno reso il legno della quercia un incontrastato dominatore per la produzione di botti. Le stesse ragioni hanno portato al suo uso anche per la maturazione del Cognac, del Rum, del vino e della quasi totalità degli altri prodotti alcolici.
Che sia la Quercus Alba americana o la Quercus Robur europea, l’ingrediente fondamentale per la produzione di whisky è e sarà sempre la disponibilità di foreste. Un bisogno reso ancor più arduo dal fattore tempo: una pianta di quercia è considerata matura per la produzione di botti solo dopo 60, 80, 100 anni di vita. Considerando i 250 anni di vita delle distillerie più antiche di Scozia, durante l’intera “vita commerciale” dello Scotch gli alberi di quercia hanno potuto rinnovarsi solo tre volte.
Il consumo di rovere
Difficile stimare quante piante di quercia vengano abbattute ogni anno per la produzione di whisky, sia per il numero delle distillerie sia perché, come sappiamo, le botti possono essere utilizzate più volte prima di passare ad usi secondari come la produzione di mobili da giardino o di chips per l’affumicatura del salmone.
Ma il disciplinare del Bourbon ci viene in aiuto, dato che impone l’uso di botti vergini: tanto liquido viene prodotto, tante botti nuove devono essere riempite, tante piante devono essere utilizzate. Ci viene in aiuto perché, come sappiamo, le ex-bourbon costituiscono la stragrande maggioranza (oltre il 95%) delle botti presenti nei magazzini dello Scotch, dell’Irish e di altri distillati. Ci viene in aiuto perché la quasi totalità del Bourbon americano è prodotta nello Stato del Kentucky, stato dotato di una Distillers’ Association molto attiva nel fornire report, numeri, informazioni.
Nel Report del 2023, pubblicato nel febbraio 2024, è stato dichiarato che nel 2022 si è toccato il numero record di botti da che l’associazione esiste (1880): in un solo anno 2,7 milioni di barili di vergine nuova e carbonizzata sono stati aggiunti alle rickhouse del Kentucky, portando il numero totale di botti in maturazione all’incredibile numero di 12,6 milioni. Dopo il precedente record di 1.922.009 botti (1967), sono seguiti anni di rallentamento della produzione, che è riuscita a superare i 2 milioni annuali di botti solo negli ultimi 5 anni.
2,7 milioni di botti riempite in un anno significano 7.400 barili al giorno, 308 all’ora, 5 al minuto. Ad ognuna di queste botti corrisponde un albero di quercia abbattuto un paio di anni prima, tagliato in sezioni, lasciato stagionare per almeno 18 mesi all’aria aperta, infine trasformato in barili dalle abili mani dei bottai americani.
Quante botti si possono ottenere da una pianta di quercia? Il valore medio è 2, con un minimo di 1 e un massimo di 3 per le piante più voluminose. Quindi per produrre le 2,7 milioni di botti riempite nel 2022 è stato necessario abbattere nel 2020 ben 1,35 milioni di alberi, 3.700 alberi al giorno, 154 all’ora, 2,5 al minuto. Numeri impressionanti che coprono solo la produzione di Bourbon del KY e, a ruota, di una buona fetta degli spirits mondiali.
Dall’altre parte dell’Oceano, nell’altro territorio importante per la produzione di botti, la Francia, la Fédération des Tonneliers de France (che non include tutti i produttori di botti del paese) ha dichiarato la produzione di 687.000 botti nel 2023. Le foreste del Tronçais e del Limousin hanno contribuito con quasi 350.000 alberi di quercia.
La gestione delle foreste
Con questi numeri e con la lenta crescita della quercia, fattore chiave per la sua trama fitta ed efficace per la maturazione, è evidente come la gestione delle foreste sia un aspetto cardine per la gestione delle Cooperage e per garantire un futuro all’industria del whisky. Una sfida resa ancora più complessa dai cambiamenti climatici: il terreno sempre più secco sta portando ad una mortalità diffusa di alberi di quercia negli stati centrali e meridionali degli USA.
Una serie di fattori che si sono combinati e che hanno creato la tempesta perfetta per il mercato americano delle botti, spingendo i prezzi alle stelle. Come si gestisce un equilibrio così delicato?
Il primo ovvio passo è quello di piantare nuovi alberi. Molti bottai americani ed europei dichiarano di piantare una nuova quercia per ogni botte prodotta. Un atto nobile, che riporta il saldo in positivo, ma i cui benefici si potranno vedere tra 3 o 4 generazioni.
Per non influire troppo sulla salute delle foreste bisogna anche evitare prelievi troppo impattanti. Se, viaggiando per la Scozia, ci possiamo imbattere in intere colline di abete rase al suolo per produrre legno da edilizia, questa tecnica non è applicabile per la produzione di rovere, perché distruggerebbe l’ecosistema e impedirebbe la ricrescita di nuovi alberi di quercia.
Ogni foresta è mappata. In un’area di 20 ettari – che può contenere circa 1.500 alberi di quercia – ne vengono prelevati annualmente solo 150/200 per poi passare ad altre aree e lasciare questa intoccata per i successivi 20-15 anni. La mancanza di ampi spazi liberi porta all’impossibilità di “coltivazioni intensive meccanizzate”, con foreste di quercia prevalentemente naturali: sul posto di un albero abbattuto, solitamente le ghiande cadute nel terreno portano in modo naturale alla nascita di nuove piantine.
Per poter produrre in modo efficace le doghe, gli alberi abbattuti non possono essere troppo piccoli. Devono avere un diametro minimo di 40 centimetri, di solito si scelgono quelli con almeno 60-70 centimetri. Ogni tronco viene tagliato in sezioni di 2,5 metri, da una sezione si desiderano ottenere 2 serie di doghe da 1,2 metri. Durante i primi 4-5 mesi le sezioni di tronco vengono lasciate stagionare così come sono. Poi vengono tagliate in grosse doghe che – accatastate nel piazzale – subiscono una seconda stagionatura di altri 15-18 mesi, il tempo necessario per abbattere l’umidità del legno e per generare i tannini e gli zuccheri della qualità desiderata.
Previsioni per il futuro?
Scritto quello che abbiamo scritto, la regola del singolo uso dei barili per il Bourbon Whiskey sembra davvero essere insostenibile già nel breve tempo.
Se storicamente il Bourbon è sempre stato fatto maturare in botte vergine perché veniva solitamente commercializzato bulk e il barile stesso era il “packaging” di vendita e di somministrazione nei saloon, le motivazioni per cui questa tradizione è diventata un obbligo imposto dal disciplinare ha probabilmente più a che fare con la lobby dei potenti proprietari forestali e con il loro bisogno di monetizzare le ampie risorse di cui disponevano.
Oggi le cose sono cambiate e, egoisticamente, gli americani potrebbero tranquillamente autorizzare un secondo uso per le botti che si producono completamente a casa loro.
Non stupisce la presa di posizione di alcuni rappresentanti americani, desiderosi di apportare una modifica alle Regulations del Bourbon per consentire un secondo uso delle botti, una decisione che – se presa – metterebbe in ginocchio l’industria dello Scotch. Una posizione che ha fatto scalpore 5 anni fa, ma che sembra avere perso energia.
Chi invece ha colto l’urgenza e ha avviato le prime mosse è la White Oak Initiative (WOI, EstD 2017). Basandosi su ricerche e sul supporto dell’industria del Bourbon, e grazie ad una migliore gestione delle foreste, l’obiettivo della WOI è di stabilire un sano equilibrio di querce bianche mature e giovani su 100 milioni di acri, entro il 2070, in modo che la specie sia abbastanza abbondante per le future produzioni di Bourbon.
Partner di questa iniziativa sono la University of Kentucky, le Forest Foundation degli USA, di Alabama, Arkansas, Illinois, Indiana, Iowa, Kentucky, Maryland, Michigan, Minnesota, Missouri, North Carolina, Ohio, Pennsylvania, Tennessee, Virginia, West Virginia e Wisconsin. Tra i distillatori il sostegno è arrivato da Sazerac, Brown-Forman e Beam Suntory. Scontato il contributo dei principali Cooperage.
Questa sembra essere, al momento, l’unica strada percorribile.