Nel 1525 Bernardo Luini, discepolo di Leonardo Da Vinci, scelse proprio lei. La bellissima locandiera. Per raffigurare la Vergine ed arricchire di bellezza il Santuario di Saronno dedicato alla Madonna dei Miracoli.
La donna dapprima arrossì per la scelta del grande pittore, poi si chiese come poter compensare questo grande omaggio destinato a farla diventare immortale.
Era una donna pratica.
Cosa poteva far piacere all’artista?
Decise in fretta.
E scelse cosa donargli.
Gli fece il dono più importante cui ella potesse immaginare.
Non esattamente quello che Claudio Riva ha in mente ora mentre legge l’articolo.
L’elisir della locandiera
Il dono per compensare l’artista fu deciso essere il liquore che la stessa locandiera preparava da sé.
Colore ambra e dai sentori affascinanti.
Elisir a base di erbe, zucchero tostato, mandorle amare e una specie di brandy, che fu capace di colpire i sensi del famoso artista, quasi quanto le forme strepitose ed eleganti della splendida locandiera.
Luini fu il primo testimonial importante di questo liquore, la cui ricetta, giunta a noi, nel prezioso passaggio di generazione in generazione dalla famiglia Reina, che poi comprese con Domenico Reina la sua importanza e la sua potenzialità tanto da optare nei primi anni del XX° secolo per l’apertura di un laboratorio per la sua produzione ed un negozio adibito alla sua commercializzazione a Saronno.
La prima bottiglia aveva l’aspetto di una classica bottiglia di distillato o liquore ed intanto il suo nome e la sua notorietà circolava in Italia.
Già nel 1942 la bottiglia non ha più forma cilindrica ma assume una connotazione quadrata con un’etichetta di particolare eleganza.
Successivamente, la fama di questo preparato alcolico a base di erbe e mandorle infuse si propagò irresistibilmente all’estero ed oggi venduto con il nome Disaronno lo si trova in oltre 160 nazioni, oltre che essere molto diffuso tra i bartender di tutto il mondo per la sua versatilità e la sua potenzialità in mixology.
Oggi la ricetta combina mandorle amare fruttate con vaniglia dolce del Madagascar e zucchero caramellato, il tutto infuso in brandy e acqua, per una gradazione alcolica intorno ai 25 gradi.
Come si consuma?
Infatti può essere consumato liscio, “on the rocks” o meno, ma può essere impiegato per la produzione di vari cocktail.
Qualcuno per stupire i vostri ospiti Sabato sera?
Il French Connection, per esempio, con 3,5 cl di cognac e 3,5 cl di Disaronno, da versare in calice Old Fashioned, mescolare e servire, preferibilmente con qualche cubetto di ghiaccio. Abbinate delle preparazioni dolci al cucchiaio o al cioccolato.
O il Godmother con 3,5 cl di vodka e 3,5 cl di Disaronno, anche qui da versare in un Old Fashioned, ghiaccio se lo preferite. Beh ovviamente con questo cocktail potete abbinare delle buone ciambelle o delle torte o dolci al cucchiaio o delle deliziose crostatine al cioccolato.
E perché no un buon Bernardo Luini, con 7 cl di scotch whisky e 3 cl di Disaronno, da versare in un tumbler basso già colmo di cubetti di ghiaccio. Ho detto Scotch e non Bourbon perché i malti scozzesi si combinano perfettamente, poi mescolare delicatamente. E abbinare questo cocktail a dei dessert vigorosi a base di cioccolato fondente.
Quale è il suo aroma?
Si ma di cosa sa liscio il Disaronno? Dopo averlo osservato fluire ambrato con riflessi aranciati nel bicchiere, note di nocciola e spezie dolci accolgono al naso, prima di offrire note equilibrate amaricanti e dolci in bocca e presagire un finale discretamente persistente.
Parte del fascino del Disaronno sicuramente risiede anche nel packaging esistente ancora oggi e realizzato nella sua forma attuale a Murano negli anni Settanta del secolo scorso e caratterizzato da un design particolare accentuato dal tappo quadrato, la bottiglia è in vetro battuto. Simbolo del fascino dello stile italiano, la bottiglia ha avuto l’onore di comparire al Louvre nella mostra “L’objet du Design, 99 objets pour un siécle”.
Nel 2001 la scelta diventa quella di mutare il nome da ”Amaretto di Saronno” in “Disaronno” come segno distintivo rispetto agli altri liquori sul mercato, mentre è del periodo 2013-2019 la decisione di creare delle “edizioni limitate” con delle bottiglie ed etichette create in collaborazione con alcune tra le più note maison di moda italiane, come Versace, Cavalli, Etro, Missoni e Trussardi.
Del Disaronno quando ancora si chiamava Amaretto di Saronno fu testimonial anche D’Annunzio, pur dicendosi quasi astemio almeno per il vino, forse perché come diceva il buon Euripide “bevendo gli uomini migliorano”, pur, se aggiungiamo noi, con dovuta moderazione.
D’Annunzio a un certo punto della sua carriera letteraria era così famoso da poter essere considerato una star dei suoi tempi, il “Vate”, ossia il “Poeta Sacro”. Un influencer, diremmo oggi e, per gli alcolici, scelse di promuovere proprio l’Amaretto di Saronno oltre all’Amaro Montenegro.
A quei tempi anche gli slogan pubblicitari venivano creati da letterati, non esistendo copywriter, e il Vate metteva a disposizione anche la sua creatività per creare nomi, messaggi e poesie pubblicitarie.
Fu lui che coniò il nome Rinascente al grande magazzino prima chiamato “Alle città d’Italia” aperto nel 1887 nei pressi della Galleria Vittorio Emanuele II di Milano, quando fu rilevato da Giuseppe Cesare Borletti nel 1917. Egli stesso contribuì al successo di liquori italiani come l’Aurum, il Select, l’Amaro Montenegro e appunto l’Amaretto di Saronno.
Appunto per i miei prossimi viaggi in Lombardia una sosta a Saronno, per recarmi al Santuario della Beata Vergine dei Miracoli per osservare da vicino il dipinto di Luini e ripensare alla storia affascinante della sua liason con la bella locandiera che ha dato origine alla storia di questo liquore italiano.
Spesso ci dimentichiamo di quanta storia e di quanto fascino abbia la liquoristica italiana, che insieme a quella francese ha rappresentato un modello per gli appassionati di liquori e amari in tutto il mondo. Davvero un grande passato e un solido futuro, che questa sera omaggio bevendo un bicchiere di questo antico liquore, leggendo, mentre cade la pioggia, il Vate…
“Taci. Su le soglie
Del bosco non odo
Parole che dici
Umane; ma odo
Parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane…”
La Pioggia nel Pineto, D’Annunzio