Dentro la botte

Dentro la botte

Il Nerd Corner di Anna

Dentro la botte (il mistero che resta mistero)

L’invecchiamento è ancora la cosa più misteriosa che possa esistere nella vita di un distillato.

È il tema più studiato ma che ancora non si comprende a fondo, la carta sconosciuta, quella che fa sballare tutta la partita. Per quanto possiamo cercare di prevedere ciò che accade sui suoli più diversi e con i legni più diversi, ai tropici, in Europa, in Asia, nel mistero di una botte non potremo mai penetrare sino in fondo, e ci sarà sempre qualcosa che sfuggirà al nostro beneamato controllo. È anche l’avvenimento meno legato eppure più consistentemente condizionato dal terroir che esista, proprio a causa del tempo e delle variabili in gioco, ed è un trait d’union inequivocabile con l’ultima parte della storia del r(h)um, quella che lo conduceva in Europa sulle navi, ancora bianco, in un mezzo di contenimento tanto diffuso quanto invadente: la botte. La botte è figlia dell’Europa, per cultura e per praticità: noi Europei abbiamo per primo conosciuto il rum invecchiato, mentre dall’altra parte dell’oceano, dove vedeva la luce, per secoli si è continuato a bere, quotidianamente, rum bianco, ed è così ancor oggi, per quanto i retaggi culturali del Vecchio Mondo abbiano infine messo piede anche su quelle isole, per generare una aspettativa ed un commercio.

 

Bologne, botti francesi, Basse Terre. Chai nuovo e bellissimo, insonorizzato, isolato. Foto Anna Ostrovskyj

 

Da dove si parte?

Oggi ciò di cui vi parlo è proprio questa magnifica e rarefatta opportunità di creare un capolavoro o di incorrere in un disastro, e del sottile limen che li separa, e che porta un rum invecchiato, indipendentemente dal mercato che su di lui si è già creato, ad essere un prodotto buono oppure meno buono, con buona pace della scienza e dell’enologia.

La mia trascurabile esperienza in materia è quello che vi posso offrire per comprendere come arrivare a fare il meglio possibile quando si tratta, nello specifico, di rhum agricole.

Innanzitutto, un buon invecchiamento parte sempre da una buona materia prima: un bianco ideale per essere messo in botte, indipendentemente dal profilo ricercato, dovrà avere una buona tessitura in esteri, risultato di una fermentazione ben condotta, innescata da una canna da zucchero pulita e fresca, in un ideale stadio di maturità che, a seconda della tipologia, garantirà un grado zuccherino appropriato ed interessanti proprietà organolettiche ed aromatiche.

La fermentazione in sé offre la splendida seconda occasione per poter già prevedere cosa, dopo la distillazione, potrà essere messo a dimora in legno, e cosa no: la distillazione, oltre ad essere una fotografia più o meno fedele del terroir e dell’abilità del “fotografo”, è il primo piccolo orologio e la prima bilancia. Il distillatore può decidere se produrre, in base al fermentato che ha a disposizione, un buon rhum da invecchiamento, oppure un buon bianco, e, se ha a nelle sue mani un alambicco discontinuo, può persino decidere quale “taglio” dare al distillato: qualcosa che andrà messo in botte potrà conservare, differentemente da un predestinato ad esser “blanc”, una maggiore quota di “frazioni 3”, o alcoli pesanti che incrementano la texture del distillato e in qualche modo lo rendono meno fragile a subire ossigenazione lenta e continua e interazione costante con le molecole rilasciate dalla botte, quale che sia la tipologia di legno scelto. Trovo che sia molto favorevole alla riuscita dell’intero processo che chi si occupa di fermentazione segua da vicino o sia il fautore della distillazione e poi dell’invecchiamento, come è nel caso di Rhum Rhum, dove Michele Lunardon segue l’intera catena in prima persona: solo in questo modo si può avere un miglior controllo del risultato, pur attraverso mille variabili che possono far virare le cose in molteplici direzioni.

 

Chais di Papa Rouyo, botti francesi Quintessence. Foto Anna Ostrovskyj

 

Il contributo del legno

La quarta occasione, dopo una buona fotografia in distillazione, è valutare la tipologia di legno adeguata al clima, all’evaporazione, allo chais ed ai risultati attesi, ricordando che per AOC Martinique e IGP Guadeloupe dovrà sempre trattarsi di legno di quercia: la maggior parte dei produttori di rum delle Antille ha sempre fatto affidamento, come prima scelta, al legno della quercia bianca americana (Quercus Alba), per molte gradevoli ragioni, tra cui la prima era sicuramente (meno oggi) la facilità di approvvigionamento. Le botti di legno americano, di dimensione in genere compresa tra i 180 ed i 250 litri, arrivavano velocemente ed a buon prezzo ai Caraibi, dopo aver contenuto una sola volta whisky americano o bourbon, che, per disciplinare, prevedono l’utilizzo di una botte nuova: in più, la quercia americana è fonte di una molecola che, a livello aromatico, rilascia, da se’ stessa e non solo a causa del precedente ospite, dopo la tostatura, gradevoli sentori di cocco, caramello, vaniglia, spezie dolci e, sottilmente, mentolo, ed è detta “whisky-lattone”, oltre ad avere una sola categoria di tannini, poco invasivi a livello gustativo. Gli aromi di un classico agricole degli anni 80 o 90 avevano sempre molto a che fare con questa morbidezza di base, ed ancora oggi questo profilo è ricercatissimo dai produttori, anche perché, se ben esplorato, aggiunge complessità alla piacevolezza.

 

Come gestire l’Angel Share?

Altra, non trascurabile, dote è legata alla variabile più importante: l’evaporazione. Si sa che gli angeli, in clima tropicale, sono molto più assetati, tanto che in alcuni luoghi la loro “razione” si aggira intorno al 10 – 12% annuo. Questo rende necessario l’utilizzo cauto del legno e l’abbassamento in grado del distillato prima di entrare in botte, per evitare l’estrazione e l’evaporazione repentine e cospicue, e la troppo consistente interazione del rhum con l’ossigeno: la quercia bianca americana offre una struttura cellulosica più resistente, con pori meno numerosi, ed è riutilizzabile più a lungo di qualsiasi altro legno. Spesso una buona botte americana può dare servigio per più di 20 anni ad una distilleria senza cedere troppo nella struttura. Il risultato sarà di sicuro più povero con l’avanzare dell’età, e molte delle molecole più interessanti a livello di aromi l’abbandoneranno, ma svolgerà comunque un ottimo lavoro di contenimento.

 

Solo rovere americano?

Negli ultimi anni, i produttori di rhum agricole, per continuità con la madre patria francese, con i distillati nazionali e con la crescente e sempre più viva industria della tonnellerie, hanno iniziato ad utilizzare in maniera importante anche botti di quercia delle foreste francesi, Quercus Sessilis o Petraea e Quercus Robur o Pedunculata, di una grandezza compresa tra i 225 ed i 350 litri. Senza scender troppo nel dettaglio, questa tipologia di legno, a seconda della provenienza (alta montagna, media montagna o valle) e della tostatura, ha sicuramente esiti più difficili da controllare in presenza di forte evaporazione: i tannini “gallici” sono nettamente più presenti, i pori del legno sono molti di più, ma la parte aromatica è altrettanto interessante, variando, nel legno nuovo ed appena tostato, da note floreali e fruttate, alla vanillina più o meno persistente, alle spezie un po’ più piccanti e decise, alla nocciola ed al cacao.

Nouvelle vague, e intuito geniale, l’utilizzo di legni francesi che hanno contenuto precedentemente vino od altri distillati, ad attenuare la potenza tannica ma ad esaltare ed aggiungere ulteriori note ad una palette aromatica già complessa: esempio famoso, ancora Rhum Rhum che vede invecchiare le sue prime “Liberation” in legno francese che aveva precedentemente contenuto Sauternes (semillon ndr.) e Chardonnay della Cote De Beaunes, con i risultati che tutti conoscete.

 

Chais Rhum Rhum presso Père Labat, botti francesi. Foto Anna Ostrovskyj

 

Precauzioni e controllo

Per rimediare all’evaporazione cospicua, primo e più grande problema, è necessario quindi valutare bene il legno in cui si mette a dimora il distillato, la sua posizione (lo chais dovrebbe restare quasi sempre chiuso, esser buio, il più riparato possibile e con la giusta quota di umidità), e la posizione delle botti (quelle vicino alla parte alta ed al calore subiranno una maggiore evaporazione. Molto importante è la valutazione continua dell’andamento del distillato: una botte lasciata lì, senza mai esser “valutata” nel suo operato, può facilmente sfuggire di mano. È un duro lavoro, ma qualcuno deve pur farlo, insomma. Inoltre, è molto importante, annualmente, effettuare un’operazione che viene in gergo chiamata “ouillage”: si tratta di dare consistenza alla produzione operando un refilling del distillato perso tramite una botte dell’annata in gioco che viene “sacrificata” per rimpiazzare il distillato evaporato dalle altre botti. Ciò permette anche di tenere sotto controllo l’interazione del legno con l’ossigeno, che deve essere il più possibile costante, quindi di non avere mai troppa superficie lignea lasciata seccare senza essere bagnata dal distillato stesso.

 

Chias di Père Labat vecchie botti americane da 190 lt. Foto Anna Ostrovskyj

 

Nonostante tutte queste accortezze ci sono mille cose che possono ancora accadere, non sempre prevedibili: l’invecchiamento è una scienza inesatta per definizione e non esistono sistemi d’allarme né telecamere all’interno di una botte. Possono svilupparsi muffe, microrganismi che inficiano il gusto del nostro rhum, il legno può inaspettatamente cedere, oppure gli eventi atmosferici cui a volte assistiamo, in primis piogge torrenziali ed uragani, possono mettere a serio rischio il lavoro di tanti mesi.

Da tutte queste eventualità non esiste apparente difesa, le sole armi utilizzabili per arginarle sono la cura e la dedizione, in una parola l’amore per ciò che facciamo ogni giorno, e la volontà di consegnarvi un prodotto all’altezza dei vostri sogni e delle vostre aspettative (e, aggiungerei, del vostro portafoglio).

 

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