C’è stato un tempo in cui il Mikado, termine aulico per indicare dapprima il palazzo imperiale poi direttamente l’Imperatore giapponese, regnava su un vasto territorio, tanto da far parlare di Impero Giapponese, anche se solo a partire dal 1889 con la Costituzione dell’Impero del Giappone il termine venne utilizzato per la prima volta e solo nel 1936 questa fu la denominazione ufficiale del Giappone fino al 1946, anno dell’occupazione territoriale americana.
Okinawa
Nell’ambito dell’Impero Giapponese poi soltanto Giappone vi sono territori che solo in tempi relativamente recenti sono stati annessi e tra essi isole che a lungo hanno avuto indipendenza. Tra di essi Okinawa, arcipelago che oggi possiamo riconoscere come territorio più meridionale del Giappone nell’Oceano, ma che fino al 1879 era più noto come Regno delle Ryukyu, monarchia antichissima se è vero che essa perdurava dal 1300 dC. Questo regno svolse per lungo tempo un ruolo fondamentale fin da tempi remoti come snodo fondamentale nei rapporti commerciali tra impero nipponico e quello cinese, rimanendo autonomo pur dovendo spesso pagare dei tributi a Pechino e poi anche a Kyoto, un tempo capitale del Giappone.
Successivamente Okinawa dopo l’annessione da parte del paese del Sol Levante, fu più nota per la battaglia con gli Stati Uniti e poi per l’insediamento della base militare americana.
Tuttavia, una sua tradizione secolare precede queste novità degli ultimi tempi e caratterizza uno degli asset più straordinari per raccontare l’identità e la cultura di questo territorio.
L’Awamori
Parliamo dell’Awamori, un distillato. Ne abbiamo accennato quando abbiamo trattato dello Shochu, ma cerchiamo di cogliere ora qualche tratto distintivo.
Okinawa fu raggiunta dal raggio di luce della tecnica della distillazione nel XV° secolo, proveniente dalla Thailandia. Questa tecnica è stata poi durante il tempo perfezionata ed adattata al clima subtropicale delle isole.
Pare che anticamente l’Awamori si producesse con il miglio e lo ricostruiamo anche dal termine “awa” che concorre a formare il termine awamori e che indica anche il concetto di “bolla” riferendosi probabilmente al fatto che la qualità del distillato veniva misurata con la capacità di produrre bolle se versato da una certa altezza nel calice.
Un’altra ricostruzione lessicale vede la parola Awamori derivare dal sanscrito awamuri, bevande alcoliche.
La materia prima dell’Awamori oggi è costituita da riso thailandese e grano Indica mentre il fattore fondamentale nel processo produttivo è il koji nero di Okinawa. Dunque, ecco già alcune differenze con lo spirito tradizionale del Giappone: nello shochu giapponese si usa riso e grano giapponese e il koji bianco come agente facilitante la fermentazione, inoltre solitamente l’Awamori si realizza dopo una solo fermentazione mentre lo Shochu ne utilizza due.
Dunque il processo comincia tramite dispersione del kuro koji su una materia base di riso thai cotto a vapore, per rendere il tutto fermentescibile, il koji aggiungerà anche acido citrico.
Gli enzimi presenti nel koji producono la trasformazione degli amidi in zuccheri semplici, una successiva fermentazione di circa due settimane produrrà un liquido con circa 18 gradi alcolici, poi messo a distillare in un alambicco discontinuo per una singola distillazione.
Dal 1995 esiste l’Indicazione Geografica Tipica Ryukiu Awamori, che appunto prevede l’uso del kuro koji del tipo Aspergillus Luchuensis, l’uso di acqua della Prefettura di Okinawa, territorio nel quale, peraltro, devono essere realizzate la fermentazione e la distillazione in un alambicco discontinuo. L’affinamento eventuale deve essere compiuto sempre a Okinawa e qui deve essere anche compiuto il confezionamento in bottiglie di vetro o contenitori di ceramica.
Per tradizione è previsto l’affinamento del Ryukiu. Dopo tre anni di ageing può essere denominato kusu, ossia invecchiato. Per affinarlo si può utilizzare la tecnica del travaso e rabbocchi delle giare in cui è posto a riposare. Questa tecnica può essere anche adoperata per molte decine di anni, facendo sì che il distillato acquisisca sentori di vaniglia e caramello e diventi uno Spirito Meditativo. Alla fine una gradazione alcolica di circa 30 gradi accoglierà il palato. Non si prevede tradizionalmente l’uso di additivi all’alcol prodotto e si dice che l’Awamori sia uno dei pochi superalcolici a non causare danni immediati in caso di abuso (ovviamente occorre sempre berne responsabilmente).
Il consumo dell’Awamori
Come da noi in Europa gli appassionati di vino sono soliti comprare delle bottiglie di etichette importanti per ricordare nel tempo eventi importanti familiari, come nascite o matrimoni o lauree, così chi ama l’Awamori ama acquistare e mettere da parte qualche bottiglia quando il proprio figlio nasce e goderne quando questo consegue la maggiore età.
Il movimento distillativo legato all’Awamori, pur essendo antichissimo, è tuttora molto vivace, ad oggi si contano circa 46 distillerie attive ad Okinawa.
Lo si consuma on the rocks soprattutto durante i giorni di festa o servendolo con acqua calda o fredda, oppure, in quanto molto versatile, con succo di agrumi, molto usato è il succo di shequasar, agrume locale, ed anche con soda o addirittura blendato con tè o caffè.
La tradizione esige che l’Awamori sia bevuto in compagnia e da un unico calice, un sorso a testa, magari non in periodi di diffusione Covid… Occorre servirlo da un unico bricco di terracotta di dimensioni modeste e chiamato kara-kara, al cui interno vi è una biglia di argilla, che emetterà il particolare suono “kara-kara” quando il bricco diventerà vuoto.
Per abbinamenti con il food, l’Awamori è gradito soprattutto dagli chef per combinarlo in salse piccanti, soprattutto quella a base di peperoncini infusi nell’Awamori, salsa chiamata koregusu, che non potrete evitare di assaggiare, in particolare, nell’Okinawa soba, brodo con noodles, maiale, pesce, alghe konbu e verdure, che Claudio Riva sta via via sostituendo al consueto salmone scozzese con cui accoglie gli amici a cena.
Tuttavia, sembra molto gradevole anche l’abbinamento Awamori-Cioccolato Fondente.
Quello che viene spesso definito come il sakè del posto, ossia shimazake, abbreviato shima, è sicuramente assaggiabile in Giappone dappertutto, per esempio nei kombini, minimarket aperti ventiquattro ore su ventiquattro, e nei normali supermercati, l’Awamori guadagna sempre più popolarità anche nel resto del mondo in spirits club specializzati e ristoranti giapponesi.
Bevo Awamori meditando oggi sull’ultimo haiku di Matsuo Basho, uno dei quattro maestri riconosciuti dell’Haiku:
Malato durante un viaggio
Sui campi riarsi i sogni
Vanno errando.