Del Mistrà, lo spirito clandestino

Del Mistrà, lo spirito clandestino

In queste ore disperatamente calde, in cui purtroppo anche la mucillagine, dovuta anche all’afa contemporanea, invade l’Adriatico marchigiano, nelle meravigliose contrade delle Marche esiste un rimedio scacciapensieri che da immemorabile tempo dà conforto agli abitanti, il Mistrà.

In verità, nel resto d’Italia e nelle stesse Marche questo spirito è poco conosciuto.

Probabilmente, l’origine della sua venuta in Italia segue le vicende delle conquiste della Repubblica di Venezia in Oriente. Nel 1687 la Serenissima conquistò una città in Grecia a 8 km dall’antica Sparta. Qui i soldati del Doge scoprirono l’ouzo ellenico e lo fecero loro, portandolo nella madrepatria e denominandolo con il nome della città conquistata.

Le cronache locali dicono che a Venezia per molto tempo si consumò questo alcolico dal forte sapore di anice, la cui diffusione poi cadde in disuso a seguito dell’affermarsi delle dominazioni austriaca e francese nel Veneto.

Il mistrà, così come lo cominciarono a degustare a Venezia, aveva un gusto decisamente secco, da bersi liscio ma anche come ottimo spunto per correggere il caffè. Nel Veneto veniva bevuto anche similmente all’ouzo e al pastis, allungato con acqua.

La sua gradazione alcolica? Piuttosto importante, tra i 40 e i 60 gradi, con un colore cristallino, poi opalescente se diluito con acqua o ghiaccio, con sentori aromatici variabili tra il finocchio e la liquirizia.

Alla fine del diciannovesimo secolo poi, dopo un momentaneo oblio dovuto alla sedimentazione della polvere della Storia, ci fu una riscoperta grazie a Girolamo e soprattutto Antonio Varnelli, che ripensarono la ricetta, avendo lo scopo di creare un rimedio alcolico contro la malaria a beneficio dei pastori che operavano la transumanza delle greggi in Maremma, realizzando appunto il Varnelli, un anice secco particolare.

Oggi il Mistrà Varnelli e il Mistrà Pallini sono commercializzati a livello nazionale, e al Mistrà è stato riconosciuto la qualifica di prodotto tradizionale dal Ministero competente.

Così introdotto in Italia, la sua diffusione nella zona del Piceno ha origini peculiari, presumibilmente condotto qui attraverso i commerci tra Venezia ed i centri costieri regionali come Ancona e Fano, in quelle terre che difficilmente distingui, se non amministrativamente, dal limitrofo Abruzzo e non lontane dalla stessa Umbria, terre di confine, ricche di cultura e di meraviglie di ogni natura, insomma.

Tanto tempo fa ogni famiglia della zona distillava con un proprio alambicco un alcol da vino, cui veniva aggiunto dell’anice della zona, con un effetto alcolico e sensoriale non lontano dall’Anisetta salentina, di cui parlammo tempo fa, pur differendo per la natura dell’alcol di base, qui appunto da vino e per essere piu’ secca al gusto e al naso.

Nelle Marche molte lune fa ci si organizzava di notte per distillare, secondo una ricetta, che si tramandava nel tempo, di generazione in generazione. La ragione è sempre quella a cui tutti voi state pensando adesso: evitare di pagare le imposte sul consumo e creazione di alcolici. Così era quasi consuetudine per i fanciulli e le fanciulle, un tempo, seguire i padri distillatori, che con un alambicco ambulante facevano visita, al chiarore delle sere lunari, ai contadini, che altrimenti non avrebbero saputo come smaltire il loro vino invenduto ed in surplus rispetto a quanto consumato in proprio e a quanto venduto.

Esiste un termine per questi gloriosi distillatori, che spesso giravano i piccoli borghi, di notte, con le loro antiche ma valenti biciclette: ramaioli.

Gli stessi ramaioli si tramandavano una consuetudine: alla fine della distillazione del vino, con la testa e la coda erano soliti ungersi la pelle, perché si riteneva ciò avesse un potere rinfrescante e tonificante per rilassare i muscoli dopo le fatiche della giornata.

Ancora oggi le aziende marchigiane che lo producono spesso usano l’alambicco in rame, partendo in distillazione da vino cui si aggiunge anice anche se altre realtà produttive lo creano da alcol etilico puro, manca sicuramente un disciplinare comune.

Oggi sono ancora numerose le famiglie che producono il mistrà, soprattutto concentrate tra la zona del Piceno e del Fermano, sullo sfondo di quella meraviglia naturalistica rappresentata dai Monti Sibillini.

Una delle poche realtà produttive artigianali, che piu’ ha creduto nel prodotto Mistrà è senz’altro Distilleria Clandestina, situata a Petritoli, in provincia di Fermo, il cui titolare è Nicola Roberti, che crea il Mistrà da una ricetta del nonno. Oltre a distillare, l’azienda cura l’allevamento di maiali e galline. Ci sono tre alambicchi, di cui uno storico con piu’ di 50 anni di attività e due piu’ nuovi. L’attività di distillazione si realizza tra la tarda estate e l’inverno, con un numero di bottiglie prodotte molto basso, con un target di vendita rappresentato dai ristoratori della zona.

Celebre è poi il Mistrà della Distilleria Varnelli di Muccia, provincia di Macerata, fondata nel 1868 da Girolamo Varnelli, giunta oggi alla quarta generazione di famiglia e oggi a trazione completamente femminile. Il fondatore, profondo conoscitore delle piante officinali della zona, creò numerose ricette di spiriti ed amari, tra cui l’Amaro Sibilla. Ma fu il figlio Antonio, a rivedere e reinterpretare la ricetta marchigiana del Mistrà, creando il “Varnelli”, la bevanda al gusto di anice, per cui l’azienda divenne famosa e ancora oggi in commercio e definito un “Anice secco speciale”.

 

 

Il Mistrà è anche uno dei prodotti di punta dell’Azienda Pallini, che crea un prodotto particolare utilizzando ben sette tipi differenti di anice, ed una tripla distillazione, che conduce ad avere un liquore secco di anice stellato, dichiaratamente da utilizzare nella preparazione di gustosi dolci e biscotti o da provare dopo ricche libagioni come dopo pasto. Ovviamente lo potete sfruttare come opportuno “correttore alcolico” di un buon caffè o diluito in acqua e ghiaccio.

Anche l’Azienda Pallini è stata fondata in tempi antichi, nel 1851 da Nicola, figlio di pastori e contadini di Civitella del Tronto. Autodidatta, divenuto mercante abbiente, si trasferisce ad Antrodoco, piccolo centro tra Lazio ed Abruzzo. Nel 1875 nasce l’Emporio Pallini, primi passi per la successiva “Antica Casa Pallini” che poi si trasferirà a Roma, grazie a Virgilio, il figlio del fondatore. Poi vari eventi che tuttavia conducono ad una presenza sul mercato strutturata e consolidata dell’Azienda Pallini attraverso un variegato bouquet di prodotti.

 

 

Insomma il Mistrà come ennesimo esempio di prodotto alcolico dalle origini antiche ma dal successo ancora attuale.

Ora un buon mistrà in ghiaccio e vado a vedere il tramonto di questa infuocata estate salentina, buon ferragosto a tutti!!!

 

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