Il giorno prima aveva abusato di cotechino, polenta e Lambrusco. Perciò Davide era andato a camminare senza meta per le strade della Bassa.
C’era quella rivista inglese che continuava a chiedergli di scrivere rapidamente quell’articolo sulle origini del whisky made in Japan. E Lui, con riluttanza, aveva cominciato a scrivere delle righe, poi si era improvvisamente impantanato.
D’accordo, quello che era successo negli ultimi cento anni era chiaro.
Taketsuru in Scozia
Proprio nel 1918 Masataka Taketsuru, nato a Takehara City, nella Prefettura di Hiroshima, figlio di Keiziro, un ingegnere chimico e produttore di sake, aveva cominciato il suo famoso viaggio in Scozia per apprendere i segreti dello Scotch Whisky, aveva seguito un corso di chimica all’Università di Glasgow, aveva fatto pratica di blending alla Longmorn nello Speyside ed alla Hazelburn di Campbeltown e aveva conosciuto la futura moglie Rita Cowan a Kirkintilloch.
Roberta Jessie detta Rita, figlia del medico dove Masataka alloggiava, era rimasta affascinata dal colto orientale, che l’aveva omaggiata di un profumo, cui lei aveva risposto con un libro di poesie di Burns.

Il ritorno in Giappone
Poi tutto aveva seguito un destino già probabilmente scritto nel Libro del Fato.
Il matrimonio con Rita del 1920, il ritorno con lei in Giappone, il fallimento dell’azienda che aveva finanziato il suo viaggio, la Settsu Shuzo, il lavoro per dieci anni alla Kotobukya Limited per cui dal 1923 Masataka aveva cominciato a seguire, per conto di Shinjiro Torii, la costruzione della Distilleria Yamazaki, dove fu realizzato nel 1929 il primo whisky del brand Suntory, lo Shirofuda Whisky.
Le diverse opinioni tra Shinjiro che voleva creare un whisky giapponese e Masataka che voleva ricreare un whisky scozzese avevano portato già a divisioni tra i due su quando far uscire il primo malto: Masataka voleva far invecchiare il suo primo distillato almeno dopo 5/10 anni di affinamento, Tori voleva rilasciarlo il prima possibile. Il compromesso dei 4,5 anni di affinamento come aveva preteso Shinjiro, ma il sapore peaty che aveva voluto Taketsuru, avevano condotto ad un sostanziale insuccesso quell’impresa maltosa.
Shinjiro allora aveva compreso che forse per il gusto giapponese occorresse far affinare quel whisky un tempo maggiore per ammorbidirlo e armonizzarlo meglio con i sapori del cibo orientali.

Le strade si dividono
Nel 1934 i Due Eroi del Japanese Whisky si erano separati e Masataka aveva cominciato la leggenda della sua azienda, la Nikka, che letteralmente era la contrazione dei termini Nippon Kaju, Compagnia di Succhi Giapponesi, che aveva sorprendentemente iniziato con la produzione di succo di mela per finanziare il Progetto dell’Eroe Masataka, il Suo malto giapponese. Finalmente nel 1940 era uscito il Nikka Whisky da Yoichi, la sua prima distilleria. Poi ne sarebbe stata creata un’altra Nikka, Miyagikyo.
Purtroppo figli dall’unione con Rita non ne erano venuti, se non il whisky stesso.

Il successo internazionale
Poi il successo del whisky giapponese, che pian piano aveva sgomitato e si era fatto notare nei Concorsi internazionali, il successo del 2003 del film Lost In Translation di Sofia Coppola, con uno strepitoso Bill Murray e una straordinaria Scarlett Johansson, avevano fatto innamorare il pubblico americano del whisky made in Japan. Da lì un successo quasi troppo travolgente, tanto che di whisky giapponese vero, interamente giapponese, forse ne era rimasto poco in giro.
Così nel 2021 la Japan Spirits and Liquor Association aveva introdotto un insieme di normative, non propriamente definibili come un vero Disciplinare, a volontaria adesione per le imprese associate, che sarebbe poi entrato in vigore nel 2024. Per cercare di dare una regolamentazione e una giusta tutela alle imprese dei distillatori giapponesi che lavoravano per difendere il concetto di vero whisky giapponese. Ma, almeno inizialmente e paradossalmente, proprio Nikka non vi aveva aderito almeno per il suo Nikka from the Barrel.
Si tutto questo era chiaro e lampante, glielo avevano ripetuto anche alla Maison du Whisky a Parigi, dove peraltro si era ingozzato di ostriche e malti giapponesi costosi e meno recenti.

Ma quando il malto occidentale era entrato in Giappone e come Masataka e Shinjiro erano venuti a sapere del whisky? Come questa strana parola gaelica, che significa “Acqua di Vita”era entrata nel Paese del Sol Levante?
Il Commodoro Perry
Allora a Davide, improvvisamente, venne in mente il famoso mito delle Navi Nere, nere perché i Giapponesi così le vedevano dipinte esternamente ma anche per il fumo prodotto dalle navi alimentate a vapore, con cui i Giapponesi avevano definito il famoso arrivo del Commodoro Matthew Perry con le quattro navi da guerra statunitensi, la Mississippi, la Plymouth, la Saratoga e la Susquehanna, che si ancorarono al porto di Uraga, all’imboccatura della Baia dell’attuale Tokyo.

Era l’8 luglio del 1853. Da quasi duecento anni il Giappone si rifiutava di commerciare con gli Stranieri, Cinesi, Portoghesi e Olandesi a parte, e solo nella zona del porto di Nagasaki, grazie all’Editto del Sakoku, che, fra l’altro, vietava l’ingresso ai non giapponesi nel Paese.
Perry aveva avuto mandato dal Presidente Fillmore di usare la forza se lo Shogun non avesse accettato di aprire il Paese ai commerci. I rappresentanti dello shogun furono ricevuti a bordo dal Commodoro, che intimò loro di scegliere entro un anno tra la guerra e l’apertura ai commerci con gli Stati Uniti.
Ecco: lesse da qualche parte che l’intimazione era avvenuta durante una cena sulla nave ammiraglia di Perry, il quale fece servire agli ospiti commensali Bourbon e Rye, dei quali aveva portato un barile e si disse che anche lo Shogun ne fu conquistato, avendone ricevuto una discreta quantità.
Dopo un anno Perry era ritornato con il doppio delle navi da guerra e il commercio all’Occidente fu ufficialmente aperto perché i Giapponesi accettarono, con la Convenzione di Kanagawa, di aprire le frontiere del Paese.
Dunque, non era stato probabilmente il whisky scozzese il primo malto che aveva conquistato i Giapponesi, che peraltro probabilmente avevano conosciuto prima il Jenever, tanto caro a Giulio e Claudio, che ne avevano parlato in un Master online. Grazie agli Olandesi.
Davide si ricordò questo episodio, mentre malediceva il fango delle campagne della Bassa.
Tornò a casa, scrisse scorrevolmente l’articolo, bevve un buon Bourbon e si mise a mangiare una bistecca.
Master of Japanese Whisky
Per questa ed altre curiosità sulla storia del Whisky Giapponese, sono sempre disponibili i Master ON-DEMAND di Whisky Club Italia.