Cuore di quercia, spiriti in gabbia e come liberarli

Cuore di quercia, spiriti in gabbia e come liberarli

Il Nerd Corner di Anna

Cuore di quercia, spiriti in gabbia e come liberarli

Da poco più di un annetto mi preoccupo da vicino di uno chai d’invecchiamento particolare, si può dire transitorio, nel clima decisamente tropicale e poco propenso agli sconti sull’evaporazione che abbiamo qui in Guadalupa.

Ho dovuto passarci un bel po’ di tempo per capire come fosse importante la posizione di ogni botte, la sua interazione col legno ed il contenuto del fusto vicino, non sempre più verde, con la parete (o la non parete) dietro di essa, come circolasse l’aria e che impatto avesse l’umidità: in capo a più di un anno penso di aver compreso buona parte del funzionamento statico e dinamico di questo luogo: conseguentemente, ho operato il mio piccolo puzzle di spostamenti, lasciando ad esempio nei luoghi con più ricambio d’aria, più calore e più passaggio le botti meno “sensibili”, e gestendole, né più né meno, come fossero esseri viventi, con le loro caratteristiche o i loro acciacchi. C’è umanità in uno chai, e un sacco di energia naturale, da lasciar libera ma anche convogliare.

 

 

Gli angeli golosi

Il bello è venuto con la nuova produzione di rum bianco di quest’anno, che, analizzata al gascromatografo, mi ha rivelato tanti meravigliosi alcoli superiori: come non sprecare tanto ben di Dio in un luogo in cui Dio guarda giù e si stupisce lui stesso del caldo micidiale che fa e dell’evaporazione quasi raddoppiata negli ultimi dieci anni? Penso sia una domanda che ci si pone, da un po’ di tempo a questa parte, a cavallo tra il tropico del Cancro e quello del Capricorno. Sarà questo uno dei motivi per cui si imbottiglia sempre più rum bianco, e lo si fa pure pagare un occhio della testa: immaginate quanto costa già produrre un bianco agricolo da filiera sostenibile, aggiungete il costo del legno di qualità e l’impegno economico enorme dell’immobilizzazione, che avevo già avuto modo di definire “molto coraggiosa” in un precedente articolo (“Il Coraggio Di Invecchiare”), e capirete come mai questa è l’era dei “Rhum Blanc Premium”, tra i quali eleggiamo Rhum Rhum a capofila della categoria.

Ad ogni modo, abbiamo deciso di mettere in botte, oltre a vendere caro il bianco, cosa che mi sembra lecita, per un prodotto etico e seguito maniacalmente in tutte le fasi produttive, ma l’incognita è stata proprio la botte, visto che in merito allo spazio dedicato all’invecchiamento per ora non potevo esigere di più, e avrei dovuto comunque cercare di proiettare l’invecchiamento nel luogo definitivo dove il rum avrebbe riposato.

 

L’apporto del legno

Ai tempi dei romani, ma anche dei celti, dei samurai, e, nelle terre vicine all’equatore, dei primi coloni e delle prime produzioni di rum utilizzata solo per lo spostamento di vini e spiriti, la botte ha cominciato a rivelare, nei secoli, quale ricchezza ed interesse poteva donare, e, solo dal secolo scorso, ad essere ampiamente esplorata come contenitore per far maturare e rendere complessi i vini, mentre, da pochi decenni, si studia scientificamente il suo impatto sugli spiriti, raccogliendo il retaggio di conoscenze e pratiche radicate nei secoli.

 

 

Sulla base di una serie di caratteristiche intrinseche, fu infatti il legno di quercia ad esser il prediletto al filo dei tempi: le qualità che lo resero vincente furono la resistenza, la facilità di approvvigionamento, la quasi totale assenza di difetti nella grana interna, la lavorabilità soprattutto termica, la porosità e le piacevoli caratteristiche aromatiche che donava. Ad oggi, nei riconosciuti disciplinari che regolano il mondo del rum, è il solo legno ad essere ammesso per la maturazione: oltre ai citati motivi per cui viene scelto in esclusiva, ve n’è uno strettamente legato alla storia del rum, ovvero la capacità di migliorare la qualità di un distillato che all’inizio, come si sa, non era certo privo di difetti appena prodotto (non per niente uno dei nomignoli con cui veniva goliardicamente appellato era “Kill Devil”), e, nella fattispecie, eliminare frazioni indesiderate (“sottrazione”), accrescere interesse aromatico e texture (“estrazione”). Insomma, quel rumbullion orribile, grazie alla botte poteva anche diventare buono, e questo ebbe il potere di cambiare il mercato, qualche secolo fa.

 

Quale legno?

Questo primo interesse per il legno di quercia è divenuto oggi, in un momento storico in cui abbiamo a disposizione rum bianchi di grande qualità e peculiarità aromatica, un vero e proprio parco di sperimentazione scientifica: le tipicità del legno, la sua zona di provenienza, il produttore e la sua fama (è il momento d’oro della tonnellerie), la sua stagione di accrescimento, insieme al suo trattamento ed alla sua tostatura, sono informazioni importanti per l’acquirente, in funzione di un impatto maturativo sul rum bianco che sia solo arricchente e non coprente, e ne rispetti in modo più fedele possibile la struttura aromatica.

Se volessimo restringere le caratteristiche importanti da tenere in considerazione nella nostra scelta, esse sarebbero: la dimensione della botte e lo spessore delle doghe (più dimensione, meno interazione stretta e meno estrazione; doghe più spesse, meno evaporazione), la tipologia del legno (quercia francese, americana, europea, orientale e sottofamiglie, di cui ho già avuto occasione di parlare, tutte con differente impatto aromatico e orientamento dell’evaporazione), grana (che è la dimensione e la regolarità dei cerchi annuali di accrescimento, e può essere fine, media o grande, ed è strettamente legata all’accrescimento estivo della pianta: la grana è ancora una volta un fattore determinante nel calcolo dell’estrazione ed evaporazione), tostatura (strettamente legata alla fase di “sottrazione”: più un legno viene tostato, più i suoi pori divengo pervi, e più si crea la funzione “ossidativa” che permette a talune frazioni, come teste e composti solforati, di essere eliminate). Questi quattro cardini sono la guida che si dovrebbe tenere nella scelta di una botte, ed il loro bilanciamento coincide con un buon disegno dell’invecchiamento durante gli anni, ed in una buona capacità di previsione di quello che potrà essere il prodotto finale, se si è effettuata una buona analisi delle parti non alcool e delle parti aromatiche (terpeni e norisoprenoidi) che abbiamo a disposizione nel distillato bianco.

 

 

Il tempo darà le risposte

Vedremo se, in capo ai prossimi tre anni, periodo necessario per dichiarare “Vieux” un rhum distillato in Guadalupa, la scelta che ho effettuato mi porterà a buoni risultati, oppure se sarà necessario ritoccarli con secondi passaggi o finishing.

Nell’attesa, ci dedichiamo alla produzione del nostro amato rhum agricole blanc, che è localmente, e in famiglia, il prodotto più consumato.

 

 

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