Lorenzo Pasini in Irlanda, parte seconda. Continua da Cronache d’Irlanda, capitolo 1.
Martedì
Martedì il mio programma self-inflicted prevede una visita a Glendalough. Punto direttamente l’upper Lake che ha un parcheggio a pagamento che rende il raggiungimento dei percorsi dell’area molto facile. Una volta tanto imbrocco una mattinata splendida, che mi permette ottime foto del lago, del bosco e delle vallate con viste mozzafiato. Voi direte, beh eri a Glendalough, che non sei andato a vedere la relativa distilleria? No! È chiusa, non visitabile, qualche dubbio sulla sua esistenza mi assale, come discusso con il Claudione nazionale!
Mi riporto al parcheggio a pranzo per mettere sotto i denti il solito hamburger e patatine, perché alle 14:30 ho una visita ad una distilleria vera: Waterford.
Arrivo in distilleria, parcheggiando lungo il fiume Suir proprio accanto allo stabilimento. Nel visitor center mi accoglie l’incantevole Lauren, che poi scopro faccia anche parte del tasting panel della distilleria. Al tour siamo io ed un ragazzo tedesco. Lauren ci mostra parte del vecchio stabilimento ex-Guinness e ci spiega il mondo un po’ matto di Waterford, che fa una doppia distillazione molto più sullo stile scozzese che la tripla irlandese.
La loro intenzione è quella di dimostrare che l’orzo è paragonabile ad un vitigno nel vino e per esso valgono le stesse considerazioni sul terroir dove cresce.
Cercando di essere il più breve possibile, loro imbottigliano non dei single malt, ma dei single farm, cioè l’orzo coltivato in una singola fattoria. Si fanno dare 100 tonnellate di orzo da ogni fattoria dell’isola, regolano l’impianto (soprattutto la parte di mashing a filtro, che va tarato ogni volta sulle dimensioni del chicco, con un filtro mostruoso a controllo elettronico, che si vede aldilà della vetrata della stanza di controllo) e quello viene messo in botte. Ogni farm viene messa a riposo per 4 anni e mezzo, tutte nello stesso luogo (un hangar in un vecchio aeroporto vicino al mare, per cercare di ottenere un feeling costiero), tutte nello stesso tipo e mix di botti, per equiparare le condizioni di invecchiamento.
Inoltre hanno creato un tracking code, che si trova sul retro etichetta di ciascuna bottiglia, dove immettendo quel codice nel sito della distilleria, è possibile avere informazioni sulla fattoria di origine, sentire un sample dell’audio locale(!), vedere foto e analisi sulla composizione del terreno, temperature, umidità, se l’orzo è cresciuto con piogge abbondanti o meno insomma.. una quantità di dettagli assolutamente maniacale!
Alla fine del tour assaggiamo un Lakefield, un Killone ed il Luna Biodynamic 1.1 (una fattoria che Waterford stessa ha “convinto” a passare alla coltivazione biodinamica).
E tutti e 3 erano effettivamente diversi gli uni dagli altri. Lakefield era un po’ malty, ma anche “verde” e con note sporche. Killone aveva note estremamente balsamiche, mentolate e di eucalipto. Il Luna si distingue per un imbocco molto dolce e forse quello che dava meno l’effetto di gioventù, con poca maltosità pronunciata.
Uscito dalla distilleria cerco di dare un’occhiata alla cittadina. Ahimé il clima nel pomeriggio decide di mettermi il bastone tra le ruote, riesco giusto a vedere da fuori la Reginald’s tower, un po’ le vie del paese, ma devo rifugiarmi nel centro commerciale per evitare una pioggia battente. Decido di lasciare Waterford, direzione una location che avevo visto dall’aereo, da quanto era grossa: Tramore beach.
Una spiaggia di quasi 4km, con annessa laguna retrostante.. ci saranno stati 14 gradi, io ero ingiubbettato con pure una maglia termica, piovigginava, tirava un vento che “tagliava” ed i locali si facevano il bagno in scioltezza sotto la pioggia.. Decido di spostarmi in un’altra spiaggia molto graziosa, Garragus, poco più ad ovest. La stradina per raggiungerla è letteralmente rally style, per fortuna non viene nessuno dall’altra parte. Finalmente il meteo decide di lasciarmi fare belle foto e la posizione incastonata nella scogliera della spiaggia mi protegge dal vento.
Sulla via di ritorno per Dublino, decido di fare uno stop in una cittadina che porta il nome di una birra famosa e che apprezzavo molti anni or sono, sempre by Diageo: Kilkenny.
Arrivo che ormai tutte le attrazioni sono chiuse, riesco giusto a passeggiare per il paesino e vedere da fuori la cattedrale ed il castello omonimo. Ceno al Club House Hotel e poi ci si rimette in auto per i 120km che mi separano da Dublino. Il giorno dopo ci sono due distillerie ad attendermi!
Mercoledì
Nuovo giorno e pronti via, si va diretti a Tullamore Dew. Proprietà William Grant & Sons, dunque per noi maltofili, nomi quali Glenfiddich e Balvenie, per intenderci.
Il sito è di apertura recente (2014), con strutture iper moderne e parte delle warehouse “camuffate” con finti edifici a pagoda ed un piccolo ma grazioso visitor center.
Il tour inizia in un salone pseudo anticato, dove come sempre ci viene spiegato il processo di distillazione e la guida prepara degli Irish coffee al momento, raccontandoci la storia di come è venuto ad esistere il cocktail.
Passando al whiskey, Tullamore si basa su un mix di grain (distillato a colonna), single malt e pot still. Gli impianti con gli alambicchi sono enormi; per qualche motivo non ci lasciano scattare foto con lo smartphone una volta dentro l’area di produzione. Ma con la reflex si, non chiedetemi il motivo anche perché stavano facendo manutenzione, non c’era alcun rischio di vapori infiammabili. Il risultato è che qua vedo quella che penso sia la spirit safe più grossa di tutta l’industria, un esagono con tre assi di simmetria alquanto imponente.
Il tour prosegue su un minivan che ci fa vedere parte dell’impiantistica esterna dove è possibile scorgere un enorme distillatore a colonna (dove fanno la parte grain). Accanto a warehouse a perdita d’occhio, tuttora in costruzione, c’è il cooperage dove vengono assemblate le botti.
Il tour prosegue nella prima warehouse, che è enorme ed anche qui ci requisiscono gli smartphone (e pure la reflex.. quindi mi spiace, niente foto). Mi sorprende di vedere le botti tenute in verticale con pallet ciascuno da 6 botti (sono sempre stato solito vederle coricate). Ci sono sia hogshead che butt di porto/sherry. Almeno 7 piani di cask bourbon e 5 di porto/sherry con ampia maggioranza di hogshead.
Il profumo, come in ogni warehouse è sempre assolutamente epico. Pochi passi ed una parte di warehouse ha alcune pile di cask mancanti ed è adibita a mini-museo (the Tully Snug, foto recuperata su internet) con un divano ad arco dove ci fanno assaggiare un cask strength ex bourbon (single malt) ad oltre 60% di circa 8 anni.
Ahimè la cosa avviene in bicchierini usa e getta (quindi la parte di naso era difficile da gestire), al palato era buono, non particolarmente scuro e non molto legnoso e speziato, immagino non fossero cask di primo riempimento.
Torniamo al minivan ed il tour prosegue in una bella sala di degustazione in legno attorniati da teche contenenti vari samples di produzione e batch vari. In un “bukanter”, in pratica una ampolla con una pompetta per arieggiare il liquido, ci fanno annusare il new make.
Il tasting consiste poi nel Tullamore Dew classico (etichetta verde), il 12yo (che evidentemente NON è un Tullamore essendo aperti da 9 anni..) ed il Caribbean Rum cask finish “XO”. Il tullamore classico è relativamente piacione, con note speziate e imbocco dolce, ma poca profondità e complessità generali. Il Caribbean si distingue da questo per note più tropicali, ma non ho sentito sentori particolarmente chimici. Il 12 anni.. sapeva un po’ di carta stampata, quindi qualche sospetto da dove venga ce l’avrei..
Il tutto finisce nuovamente nello shop, dove forse l’attrazione più carina è quella di provare a fare il “be the blender”. Un marchingegno automatico estremamente scenico, si preoccupa di dosare le tre anime di Tullamore in una bottiglia da portarsi a casa con 47% di alcol, col proprio nome, numero di batch, colorato al 120%, ma dichiarato come non filtrato a freddo.
Ed il gioco sta nel potersi fare il proprio mix, c’è un grosso tablet dove è possibile fare due percorsi: farsi guidare, dicendo al software quali sono i sentori che ci piacciono (esempio, fiori, pancake, o altri sapori) ed il risultato dei sapori scelti viene poi a generare un mix di blending automatico, oppure andare direttamente a cambiare le percentuali a mano.
Ahimè non è possibile scendere sotto al 10% per ciascuna tipologia di distillato, facendolo gli ho incartato il software finendo alla schermata di Windows! Mi sono proposto di fargli da bug tester ma la cosa non è andata in porto. Quindi (sempre ahimè) una parte di grain ce la dobbiamo cuccare comunque. Allora procedo con un 10% di grain, 50% di single malt ed un 40% di pot still. Si procede poi ad editare l’etichetta a mano con la data di riempimento, la propria firma, il batch e si usa un tappatore manuale a leva per chiudere il tutto. Il sistema è così gentile da sforare i 70cl, in modo tale da potersi prendere un sample da assaggiare al momento. Produco poi anche un 10% Grain, 30% pot ed il restante di single malt. Entrambi sono due prodotti assai diversi, quello con più pot still ha tratti più speziati, quasi ex-sherry, mentre quello con più malto ha sentori di crema al limone, ma mantiene una buona quantità di spezia. Entrambi hanno un imbocco dolce molto piacevole (ipotizzo dato dalla parte grain) e tutto sommato, per meno di 80€, pur se non ci è dato di sapere l’età del liquido (anche se dicono minimo 7 anni), è un’idea molto carina.
Per pranzo mi porto proprio nel centro di Tullamore, e dove se non al ristorante Old Warehouse? Che guarda caso era la proprio la warehouse nr.1 di Tullamore.
Il ristorante ovviamente sprizza whiskey da tutti i pori, con botti a destra e a manca e si ritrova accanto al Grand Canal, con un’ottima vista anche all’esterno. Ahimè ho poco, davvero poco tempo per pranzare, ordino un sandwich al tonno con maree di cipolle giusto così, per aiutare il mio povero palato (e mi sembrava il piatto più rapido da far preparare). Cerco di stemperare il tutto con quella che è una vera “cionca” di cheesecake (con un peso specifico simile all’uranio impoverito), che fatico a finire.
Fatto questo, mi dirigo lestamente a Kilbeggan, che è poco più a nord di Tullamore. Forse la più antica distilleria risalente al 1757, ma solo recentemente riaperta (mi pare nel 2007) ed acquistata da Beam Suntory tramite Cooley. Cooley fondamentalmente non è più visitabile (hanno persino chiuso il relativo museo) e viene tutto dirottato qui.
La distilleria ha il parcheggio dedicato ai visitatori, una breve camminata tra gli edifici e… sono arrivato in ritardo! Quindi hanno iniziato senza di me, ma per fortuna mi sono evitato la parte “noiosa”, c’era un mini cocktail offerto che comunque non mi interessava. Ci promettono un mini glencairn marchiato Kilbeggan, che ovviamente pretendo di portarmi a casa alla fine del tour.
Lo stabilimento della distilleria è.. antico. E caotico, diciamo! La distilleria mantiene il vecchio mulino sul Brosna river che alimentava tutto l’impianto. E’ presente anche un motore a vapore del 1800, preso per quando il mulino non poteva funzionare per scarsità di acqua. Mulino ed impianti vengono attivati una volta all’anno per celebrare la distilleria.
A proposito di scarsità d’acqua, la guida ci dice che “come sapete, siamo reduci da un periodo di siccità”. Nella testa stavo pensando all’Italia ed al periodo di tipo 1 anno e mezzo senza piogge significative tra il 2022 e inizio 2023, al che la guida aggiunge “di due settimane” ed io rido ampiamente all’idea di come possano andare in crisi, in Irlanda, con settantamila laghi e laghetti sparsi ovunque, per sole due settimane senza pioggia.. però poi mi viene in mente che, a casa del mio amico, è necessaria una pompa d’acqua elettrica per pescare l’acqua dal piano terra e mandarla al primo piano e dunque direi di non lamentarsi troppo della situazione idrica da noi..
Chiusa questa parentesi, all’ingresso hanno tenuto il primo alambicco nel cortile d’ingresso assieme ad una vecchia auto anni ‘30, una ricostruzione dei tre alambicchi originali nel punto dove erano effettivamente al tempo, con pure un esempio di distillatore a colonna Coffey.
L’impianto moderno invece è a doppia distillazione, un po’ come a Waterford, lo stile è quindi più scozzese, che irlandese. Sia gli alambicchi che i mash tun sono molto, molto piccoli in confronto alla vecchia impiantistica. Ci sono almeno altri 2 tour che accadono contemporaneamente al nostro, quindi ogni tanto dobbiamo aspettare o fare giri un po’ astrusi.
All’esterno ci segnalano la prima warehouse “bunker” fatta per avere un certo tipo di aerazione ed umidità.. ma ci dicono che non si può visitare, perché adesso hanno un problema di… allagamento. Al che ritorno a pensare alle 2 settimane di “siccità” e nella mia testa regna sovrana la confusione, c’è stata siccità ma quel bunker è allagato. Ook!! Ci fanno comunque entrare nella warehouse “regolare”. Come sempre il profumo è entusiasmante ed anche qui le botti sono in piedi come a Tullamore.
Nella sala di degustazione vengono proposti Tyrconnell Single Malt, Kilbeggan Traditional, Kilbeggan triple cask ed il Connemara peated. E’ possibile (come farò io) chiedere di avere il tutto in forma di samples per chi guida.
Il mio tour prosegue con un’altra esperienza, un fill your own cask che andava prenotato. Per mia fortuna questa botte è un 10 anni ex bourbon di Kilbeggan, non un Cooley.
Si procede con una “Valinch” metallica. Il whisky in sé è estremamente speziato per essere un ex Bourbon. E questo cask mancava su WhiskyBase, quindi mi sono tolto la soddisfazione di caricare una bottiglia con la mia orrenda firma sul database! https://www.whiskybase.com/whiskies/whisky/235346/kilbeggan-2012#whisky-note-holder.
Se durante il tour il clima era stato abbastanza poco clemente, all’uscita invece è praticamente perfetto. Mi dedico quindi a guardare per un po’ i dintorni della distilleria, l’area del mulino e del fiume, facendo alcune foto.
Poi, non avendo programmi, decido di andare a fare una breve escursione alla Portlick Millenium forest, sul Lough Ree un po’ più ad ovest di Kilbeggan. Pensavo ci fosse meno da scarpinare ed invece pure qua ne devo fare di strada, ma le viste del lago ripagano la fatica.
Continua…
Cronache d’Irlanda
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