Aurum

L’iniziativa di istituire il 28 ottobre il World Amaro Day, lanciata recentemente dal’Amaro Lucano – brand storico della liquoristica italiana, ha aggiunto nuova luce su un settore che conosce da qualche tempo rinnovata attenzione da parte degli specialisti del settore beverage e dallo stesso pubblico dei consumatori.

Esistono, è noto, storicamente delle straordinarie eccellenze italiane tra gli Amari, a volte nate anche con il supporto culturale e promozionale di protagonisti eccelsi della cultura italiana. E’ questo il caso dell’Aurum e di Gabriele D’Annunzio. Il Vate, tra le tante sue attività, fu come già descritto in altro articolo, un vero e proprio promoter e influencer di marchi della liquoristica come l’Amaretto di Saronno e l’Amaro Montenegro.

 

 

Fu proprio il “Poeta Sacro” a suggerire il nome di questo Amaro al suo “inventore” e suo buon amico, Amedeo Pomilio, decidendo con questa denominazione di premiare il colore del liquore,oro, e il gusto delle arance, che promana dalla degustazione di questo gustoso alcolico, utilizzando le parole latine aurum, oro e aurentum, arancia.

Come era nata l’idea dell’Amaro di questo gentleman abruzzese, il buon Amedeo e come la realizzò?

Tutto nasce dalla passione di Amedeo per i liquori e per la tenace volontà di raccontare la sua terra, l’Abruzzo, attraverso una testimonianza alcolica che rendesse merito ad una speciale categoria di arance del suo territorio. Abbiamo già descritto altri casi in cui la passione e la competenza di ottimi liquoristi italiani danno vita a chicche di ottima fattura alcolica, capaci di dare gloria ai liquori italiani, qui la differenza è nella volontà di Pomilio di fare qualcosa in più: fermare il tempo e offrire ad un vasto pubblico la possibilità di godere di un Amaro che riesca a rappresentare il gusto alcolico dei suoi contemporanei. Chi degusta Aurum vuole tornare indietro, sia pure per qualche istante, chiudendo gli occhi, a tempi lontani, all’inizio del Novecento, che ormai, per la Mortalità dell’Uomo, vede pochi sopravvissuti testimoni.

In quell’epoca, bere Cognac o Brandy era sinonimo di distinzione per le classi sociali dominanti del tempo.

Inoltre, cominciavano a venire fuori dalle terre e dall’oblio dei tempi, numerosi e meravigliosi reperti archeologici di Pompei. Amedeo studia e scopre che nell’Antica Roma, il grande Ovidio narra di un liquore, definito “nettare agrumato”, di cui il Poeta fa dono a Giulia, figlia del divino Augusto Imperatore, per conquistarla. Per la verità, il liquore non ebbe gli effetti sperati, ma si sa che fu gradito alla festeggiata, nonostante il fatto che il Padre dell’Impero negò la realizzazione di questo amore, esiliando il buon amante degli alcolici nel Mar Nero. Ovidio era abruzzese, di Sulmona, ed abruzzese ed amante dei liquori il nostro Amedeo. Tutto si tiene.

 

 

L’idea del nostro Master Liquorista è quella allora di unire un brandy italiano affinato per otto anni a cui sovrapporre l’aroma irresistibile delle arance. Dunque si crea un infuso, lasciato riposare per almeno un anno in botti di rovere e poi lo si imbottiglia. Il finale è dato da un Amaro dal tenore alcolico di 40 gradi e da un gusto deciso ma infine accattivante grazie agli agrumi.

Naturalmente, a chi ama il genere, ricorderà il Cointreau, e verrà preferito per una bevuta a fine pasto per le sue sensazioni intense e robuste e il sottofondo dolciastro, che spesso viene preso a materia prima per alcune preparazioni dolci, come quella del gelato realizzato dal pastry chef Fabrizio Camplone dell’omonima pasticceria di Pescara.

Ma riavvolgendo il nastro, Pomilio dà vita alla sua Distilleria nel centro di Pescara in un bel palazzo in stile liberty, il Kursaal, acquistato poi nel 1919, volendo  così dare vita ad un suo proprio opificio.

La produzione ha inizio importante nel 1925, mentre il completamento del suo sogno dello stabilimento avviene nel 1930 con uno straordinario esempio di architettura industriale del suo tempo, realizzato dall’architetto Giovanni Michelucci.

 

 

La notorietà della sua invenzione cominciò a muovere da Pescara verso ulteriori e ambiziosi ambiti territoriali, non bastava piu’ l’originario stabilimento, cosi nel 1970 questo fu traslato in un altro insediamento fuori dalla città che aveva dato il battesimo alla ricetta, ossia Citta Sant’Angelo.

Le vicende societarie, che spesso portano le buone idee verso agglomerati più complessi e grandi, hanno poi visto il Gruppo ILLVA (acronimo di Industria Lombarda Liquori Vini e Affini) Saronno acquisire ricetta e titolarità del brand, che dal 2013 produce in Lombardia, non senza qualche polemica per l’allontanamento dai luoghi alcolici di origine.

Cosa è rimasto in Abruzzo dell’idea di Pomilio? Nel 2007 finalmente dell’antica distilleria di Pescara ne è stata fatta il centro di un polo culturale che porta il nome del glorioso amaro, Museo Aurum.

Il mio amico Claudio, mentre gli racconto dell’Amaro, abbandona la sua dieta a base di tisane e whisky torbati e si mette a prepararlo artigianalmente sul momento, per offrirlo in ufficio, utilizzando questa semplice ricetta delle nonne abruzzesi. Anche voi volete crearlo per sedurre la vostra amante, sperando in una sorte migliore di quella di Ovidio?

Ecco la ricetta:

Prendete 400 g di acqua, 400 g di brandy, 400 g di zucchero, 5 arance e 2 limoni.

Premete gli agrumi, tagliate a strisce sottili le bucce e ponete il tutto in un recipiente con brandy a sommergere. Lasciate in infusione per alcune settimane, curandovi di agitare il contenitore almeno 3/4 volte al dì. Mettere a bollire poi una pentola di acqua con dello zucchero, finchè questo non si sciolga completamente. Raffreddatasi l’acqua, unirla all’alcol in cui erano a macerare arance e limoni. Filtrate, imbottigliate e godetene tutti.

 

Ah del Vate, mi chiedete, infine.

Non riusciva a reggere l’alcol, non amava il vino, nonostante il suo medico curante, come cambiano i tempi!, gli consigliasse di bere del buon Bordeaux rosso. Da bambino aveva assistito a scene di risse tra marinai ubriachi nel porto di Pescara, pare ne fosse stato traumatizzato. Eppure il vino lo citava nelle sue opere.

Se proprio doveva bere alcol, preferiva il liquore.

Ritiratosi sul Garda, nemmeno di cibo voleva occuparsi il Vate. Si abbandonava a digiuni anche di quarantotto ore.

Ovidio mio, pensa che Claudio ora mi guarda perplesso mentre trangugia un’inquietante tisana…

 

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