Avevo questo articolo in canna da alcuni mesi, l’occasione del crollo delle azioni di Campari è stato l’ultimo stimolo che mi ha portato oggi a scrivere di “numeri”.
Se è vero che i mercati anticipano l’economia, l’andamento in Borsa delle principali compagnie che operano nel settore Spirits sembra disegnare un futuro cupo, o – perlomeno – non così vivace come quello scritto negli outlook rilasciati solo 1 o 2 anni fa.
Veniamo al fatto Campari. Nella sola giornata di mercoledì 30 ottobre 2024, la società – che sembrava dotata di inesauribili poteri sovrannaturali – ha registrato un sonoro -18.5% che l’ha fatta sprofondare ai minimo degli ultimi 4 anni e che, sicuramente, ha fatto tremare le fondamenta della sede storica di Sesto S.Giovanni (MI). Nessun rimbalzo nella giornata successiva, giovedì 31 ottobre, ma una ulteriore perdita del 2.85%, per un totale di circa il 20% in due giorni.
Dopo l’indigesta acquisizione di Courvoisier, l’andamento dei conti di Campari è stato costantemente sotto la lente di ingrandimento, sino all’allarme scattato questa settimana con la presentazione dell’ultimo report finanziario.
Nonostante un andamento più che accettabile nei primi 9 mesi del 2024, gli analisti non hanno gradito i dati dell’ultima trimestrale, con le vendite in calo del 14% e l’utile ante imposte in calo del 20.4%; il sonoro crollo sembra anticipare una chiusura annuale altrettanto difficile.
Il commento dell’azienda, che da settembre è alla ricerca di un nuovo CEO dopo le dimissioni di Matteo Fantacchiotti, va esattamente in quella direzione: “Ci si attende un persistere del ciclo macroeconomico sfavorevole. In base all’attuale visibilità, Campari Group si aspetta una crescita delle vendite nette organiche low single digit. La performance organica dell’EBIT rettificato sia in termini di profittabilità che in termini di variazione, considerando la base sfavorevole di confronto dell’ultimo trimestre dello scorso anno, si aspetta sia negativamente impattata da uno sfavorevole mix di vendita e dal mancato assorbimento dei costi fissi a causa di minori volumi di produzione, nonostante i benefici sulle materie prime, così come dal completamento degli investimenti nel business in corso”.
Insomma, tutti i commenti che disegnavano l’andamento altalenante delle vendite e dei mercati dell’ultimo anno e mezzo come una logica conseguenza dell’eccessiva euforia del post pandemia, oggi parlano invece di difficoltà strutturali del settore.
Riprendo qui di seguito i grafici azionari di Campari ad 1 anno (1A), 5 anni (5A) e dall’inizio delle quotazioni in Borsa (MAX). La perdita di Campari, dai massimi di un anno fa, ha ormai superato il 40%.
Lascio al lettore la possibilità di elaborare queste informazioni e, eventualmente, condividere le proprie considerazioni qui sotto nei commenti.
È un problema solo di Campari? Come si stanno comportando le altre aziende con forti interessi nel settore spirits e quotate in Borsa?
Riporto di seguito l’andamento di Diageo, Pernod Ricard, Suntory Beverages, LVMH, Brown-Forman, Rémy Cointreau e MGP Ingredients (la mega distilleria dell’Indiana specializzata in bulk whiskey). Da questi dati emerge il trend negativo dell’intero settore.
Trend confermato anche dalla rete di distribuzione. In Italia solo Compagnia dei Caraibi è quotata in Borsa, azienda che – come sappiamo – a marzo è incappata in notevoli difficoltà finanziarie. Riporto anche il loro trend, poco significativo se leggiamo i numeri, ma comunque un ulteriore campanello di allarme che non si deve ignorare.
Come punto di riferimento dell’andamento globale dei mercati riporto l’indice del Dow Jones americano.
I grafici sono ripresi ad 1 anno (1A), 5 anni (5A) e – per Diageo e il Dow Jones – dall’inizio delle quotazioni (MAX).